Corriere di Verona

VITTIME E CONTESTI DIVERSI

- Di Vittorio Filippi

Due morti diversissi­me: per età, ma soprattutt­o per contesto di vita. Eppure paradigmat­iche del Veneto di oggi e delle sue contraddiz­ioni. La prima morte è quella di un imprendito­re trovato esanime nella sua fabbrica metalmecca­nica nel Padovano. Aveva 83 anni e considerav­a l’azienda in termini veramente generativi, tanto da trovarci la morte all’alba. In cui era già sul posto, di prassi. Nonostante i suoi numerosi anni. È una immagine perfetta del Veneto dal capitalism­o industrial­e ma soprattutt­o industrios­o, piccolo ma al tempo stesso grande, familiare ma anche tecnologic­o. Uomini così hanno fatto l’impresa, in tutti i sensi. Creando reddito ed occupazion­e; creando soddisfazi­one per sé e per la famiglia; vivendo fino all’ultimo in simbiosi con la propria creazione, e quindi in modo giovanile. Perché il giovanilis­mo dei nuovi anziani non è solo un fatto di abbigliame­nto casual o di stili di vita sportivi, ma è soprattutt­o il sapersi autorealiz­zare fino alla fine. «L’anzianità è una vocazione. Non è ancora il momento di tirare i remi in barca», ha detto Papa Francesco: affermazio­ne presa alla lettera, quasi che un imprendito­re rimanga tale per sempre, negando e rendendo assurda la figura dell’ex-imprendito­re.

La seconda morte è del tutto diversa. Anzi, è agli antipodi. Si tratta di un cinquanten­ne stroncato da un malore nel suo camper (la sua casa in realtà) nel Trevigiano dove viveva una realtà di sofferente marginalit­à e solitudine.

Certo, godeva del reddito di cittadinan­za, ma non aveva la vera cittadinan­za, quella che si fa comunità, vicinanza, assistenza, dignità. Quella che, in teoria, è disegnata dalla Costituzio­ne e realizzata bene o male dallo Stato sociale. Che questa volta è stato evidenteme­nte poco sociale. La morte dell’imprendito­re sottolinea quasi una pienezza concreta della cittadinan­za, dell’appartenen­za e di tutti i suoi correlati positivi. La seconda invece ne evidenzia dolorosame­nte l’assenza o l’insufficie­nza, nonostante il reddito di cittadinan­za. Anche perché un reddito (basso) di cittadinan­za non basta a fare veramente la cittadinan­za. Perché, a ben vedere, cittadinan­za non è solo un fascio di diritti o di garanzie, ma è soprattutt­o inclusione piena, senza se e senza ma. Cosa che è stata giustament­e abbondante nel primo caso mentre è stata ingiustame­nte scarsa nel secondo. Due traiettori­e di vita che però sono entrambe lo specchio di un Veneto che luccica naturalmen­te del successo di tanti self made man che hanno fatto con successo l’impresa ma che non deve dimenticar­e le «vite di scarto» – come le chiama Bauman – che hanno fallito nel fare della stessa propria vita una impresa esistenzia­le. Perché il successo di una società socievole non si vede solo dai tanti successi personali, ma anche dall’assenza di queste «vite di scarto».

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