Vedova bianco e nero
Alla fondazione veneziana 14 grandi teleri del maestro dell’informale La mostra è curata da Baselitz, al quale fu legato da lunga amicizia
Tutta la potenza e radicalità di un bianco e nero totale, per cogliere quella modernità di Emilio Vedova che s’inserisce nel solco della grande tradizione pittorica lagunare e ci proietta in un istante nelle contraddizioni della contemporaneità. «Emilio amava la rivoluzione, il gesto forte». È la scelta estrema ed estremamente efficace di Georg Baselitz - uno dei pionieri dell’arte contemporanea tedesca, collega e amico del maestro veneziano, a lui vicino anche nella comune matrice espressionista – che firma una mostra a Venezia nella veste inedita di curatore.
L’esposizione «Emilio Vedova di/by Georg Baselitz», aperta da oggi al 3 novembre nello spazio della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova al Magazzino del Sale, è il frutto di una personale selezione dell’artista tedesco, che ha scelto di fare sfilare 14
enormi creazioni vedoviane rigorosamente in bianco e nero - sulle due pareti (anch’esse bianche per l’occasione) del suggestivo ambiente: su quella di destra sei teleri di quegli anni Ottanta che videro Vedova (1919-2006) protagonista con una pittura esplosiva e dal grande impatto visivo; su quella di sinistra una serie di opere storiche fine anni Cinquanta-inizio anni Sessanta. Ecco, dunque, l’omaggio speciale di Baselitz a Vedova, nel segno della lunga e profonda amicizia fin dai primi anni Sessanta nella Berlino divisa dal muro, dove Emilio visse per due anni e dove realizzò l’Absurdes Berliner Tagebuch ‘64 nel suo grande studio berlinese.
Ricordando il tributo che l’artista sassone fece alla Biennale del 2007 all’amico subito dopo la sua scomparsa con una serie di sei lavori straordinari. Non a caso la doppia carrellata di opere di Vedova conduce il visitatore in fondo al Magazzino dove è posta una gigantografia con i due artisti-amici sorridenti, scanzonati, immortalati in occasione di Documenta Kassel 1982. Nell’anno del centenario della nascita del pittore informale, «l’idea – dice il direttore della Fondazione Vedova Fabrizio Gazzarri che ha collaborato nella curatela - del black and white da parte di Baselitz, lontano dai condizionamenti del colore, consente di entrare immediatamente nello spazio espressivo di Emilio». Dal Ciclo della Protesta (1953) a Immagine del tempo (1958), Per la Spagna (1961-1962) e Di Umano ’85 – III (1985), impossibile non venire catturati dal gigantesco Scontro di situazioni ’59-II-1, realizzato a Palazzo Grassi nel 1959 in occasione della mostra «Vitalità nell’arte»: una sorta di Giudizio universale che sintetizza il conflitto di situazioni umane, tra il concreto e l’astratto, tra il reale e l’ideale.
«Baselitz – rivela Alfredo Bianchini, che presiede l’istituzione veneziana – vorrebbe comprare quest’opera appartenente al patrimonio della fondazione. Ogni tanto ci fa un’offerta, sempre più alta…ma noi non la venderemo mai!». Sì, perché l’artista-curatore è un grande collezionista, un onnivoro dell’arte che raccoglie dall’arte africana alle incisioni italiane (di queste ha una tra le più importanti collezioni al mondo, con opere dal Rinascimento in poi, oggetto nel 2014 di mostra alla Royal Academy of Arts di Londra). A dare il via alla sua vicenda collezionistica proprio una tela di Emilio Vedova, Manifesto universale del 1957, che ancora troneggia nell’abitazione di Baselitz, vicino al pianoforte che ogni tanto suona.
Sarà interessante il dialogo a distanza tra Vedova e Baselitz che potremmo vedere tra qualche settimana, quando nelle sale delle vicine Gallerie dell’Accademia aprirà «BaselitzAcademy» (8 maggio-8 settembre), prima retrospettiva che la pinacoteca veneziana dedica ad un artista vivente. A cura di Kosme de Barañano, la rassegna esaminerà il percorso del tedesco in relazione alla tradizione storicoartistica italiana e all’eredità dell’accademia attraverso dipinti, disegni, stampe e sculture dagli anni ‘60 fino ai lavori più recenti e inediti. Per un nuovo confronto tra due vecchi amici e le loro visionarietà clamorose.