NOTRE DAME DE VENICE
Quando, alla metà del Settecento, Giacomo Casanova arriva a Parigi non la trova poi tanto diversa da Venezia; scriverà nelle sue «Memorie» che è come un labirinto, in cui è facile perdersi, fatto di case medievali e strade strette, buie. Ma proprio quel secolo è decisivo: Venezia declina e Parigi cresce fino alla Rivoluzione e oltre. Se ne accorge anche Carlo Goldoni, che proprio in quegli anni andrà a stabilirsi sulla Senna, lasciando ne «Le ultime sere di Carnovale» un sapido testamento sui mali italiani (niente di nuovo, a dire il vero: poche opportunità per i giovani, invecchiamento – soprattutto mentale – della popolazione, pessima classe dirigente). Diverse per fondazione (l’una celtica e poi romana, l’altra medievale) dal 1.000 fino al millesettecento Venezia e Parigi sono molto simili; sono tra le più grandi e popolose città europee, dove si edificano cattedrali e friniscono i mercati, si inventano i mestieri e si stampano libri. Poi è proprio Parigi che conquista Venezia, nel 1797, per pochissimi mesi prima della consegna all’Austria, mettendo fine alla storia della Serenissima Repubblica.
E da lì comincia la modernità. La grande sfida che Venezia ha vissuto a modo suo, diventando eccezionale, unica, nel bene e nel male, ma perdendo totalmente il potere economico e politico.
Ai veneziani, vedere quelle fiamme salire verso il cielo dalla cattedrale di Notre Dame ha riportato alla mente l’incendio che nel 1996 ha distrutto La Fenice. E se al posto del Notre Dame ci fosse stata la basilica di San Marco? «Noi tutte quelle centinaia di uomini che ha messo Parigi forse non le avremmo avute». È anche per questo che Ennio Aquilino, comandante provinciale dei vigili del fuoco di Venezia, sta lavorando a un progetto volto alla creazione di una squadra speciale nautica di pompieri che lavoreranno solo in centro storico. Una specie di nucleo di vigili del fuoco d’acqua, composto da uomini che saranno formati
ad hoc, che avranno la giusta conoscenza della città e soprattutto dei suoi punti deboli, in grado di dare una risposta immediata. «C’è da dire che a Venezia il rischio che succeda è basso perché qui lavoriamo molto sulla prevenzione – spiega Aquilino -. Negli edifici storici, in particolare, ci sono sistemi di rilevazione di incendi, di spegnimento automatico, dispositivi che lanciano subito un alert in caso di problemi. In più, i nostri controlli sono costanti e anche i lavori di manutenzione per apportare continui miglioramenti agli impianti».
Qualche mese fa, infatti, un principio d’incendio scoppiò nuovamente alla Fenice ma il sistema di autodifesa funzionò e l’alert venne inviato al 115 subito, permettendo ai vigili del fuoco di domare in poco tempo le fiamme. «Le strutture che abbiamo qui sono già tutelate – spiega il comandante -. Abbiamo fatto un salto di qualità sviluppando un sistema di prevenzione che continueremo a migliorare. Su Venezia puntiamo prima sulla prevenzione. I centri di pericolo qui sono sempre stati gestiti attraverso modalità di prevenzione perché la possibilità di spegnimento è più complessa». Dalla basilica a Palazzo Ducale a tutti gli edifici storici dell’area marciana, all’Archivio di Stato: qui l’attenzione è sempre altissima. Gli impianti elettrici vengono realizzati ad hoc, tenendo conto delle specificità dei palazzi, e nelle stanze in cui i materiali possono favorire gli incendi, non viene depositato niente di infiammabile. «Ma il rischio zero non esiste e bisogna farsi trovare sempre pronti – continua Aquilino -. Per questo andrebbe fatto un ragionamento solo su Venezia centro storico, realtà unica al mondo». Il comando del centro storico ad esempio, che conta un centinaio di uomini divisi in quattro turni, è l’unico in Italia ad avere le autopompe lagunari. Mezzi da una tonnellata di peso e lunghi fino a undici metri che solo il personale altamente specializzato può portare. Aquilino intende avviare un progetto per la creazione di unta squadra speciale, alla quale accedere tramite concorsi. Prossimamente il comando provinciale, che conta circa 600 uomini, ne perderà una trentina che, come capi squadra, sono stati assegnati ad altre città. Venezia non rientra tra i comandi dell’ultimo concorso e nel complesso a livello provinciale è sotto organico di un centinaio di uomini. «Bisognerà stringere un po’ i denti – conclude Aquilino -. Intanto, si lavora su più fronti. Stiamo anche partecipando a un progetto di formazione sui mezzi ibridi ed elettrici».