Asco Holding allo scontro finale Plavisgas non cede tutte le azioni
Recesso, i privati mantengono lo 0,5% e rispondono alla sfida legale leghista
Asco Holding, Plavisgas presenta la richiesta di uscire dalla società, ma mantenendo lo 0,5% delle azioni. La richiesta di recesso al cda della spa che controlla la utility quotata del gas Ascopiave è stata formalizzata ieri. Ma la missiva, decisiva per risolvere la spaccatura nella holding di controllo dei 90 Comuni, tra la linea dei municipi leghisti e il socio privato che detiene l’8,6% attraverso la sua liquidazione, conferma invece che lo scontro legale tra le due parti è ripartito; e che sarà probabilmente questo a risolvere la partita.
Plavisgas ha presentato una richiesta di recesso dalla società, in forza del cambio di statuto approvato nell’assemblea dei soci del 23 luglio, ma per l’8,1% delle quote, mantenendo lo 0,5%. Quota minuscola, ma decisiva. Perché, se il processo di uscita va avanti, permette a Plavis di incassare comunque 42 milioni, mantenendo però un piede nella Holding. Confermando l’interesse a continuare a discutere al Consiglio di Stato il ricorso presentato da un lotto di Comuni leghisti alla sentenza del Tar che aveva dato ragione ai privati, bocciando la originaria fusione Asco HoldingAsco Tlc. E mantenendo allo stesso tempo il diritto di prelazione sulle quote che altri soci volessero vendere. Tradotto: se la decisione in appello, attesa per settembre, confermasse la sentenza del Tar prima che si chiuda l’uscita dei privati e dei Comuni interessati, e i Comuni dovessero perciò esser costretti a cedere rapidamente le loro azioni non riuscendo più a rimanere azionisti senza violare la Madia, ecco che Plavisgas potrebbe tornare ad acquistare, impossessandosi della società.
Scenario tanto più probabile, visto che i privati hanno, in parallelo al recesso, contestato il prezzo di uscita, fissato da Asco Holding a 3,75 euro, davanti al Tribunale delle imprese di Venezia, che dovrà a questo punto nominare un arbitratore. Ma per la decisione finale, a questo punto, si dovranno attendere mesi. Una mossa che è conseguenza della clamorosa offerta migliorativa fatta dal fondo infrastrutturale F2i (Sgr italiana i cui primi azionisti sono Cassa depositi e prestiti, Intesa Sanpaolo e Unicredit). Che nella lettera al Cda di Asco Holding inviata un paio di settimane prima dell’assemblea e confermata poi per iscritto ai soci, si era detta disponibile ad offrire un valore «superiore» ai 3,75 euro ai sindaci che volessero vendere, con la garanzia che la Madia sarebbe stata in quel modo perfettamente rispettata a differenza che nella discutibile soluzione concepita attraverso il nuovo statuto.
Insomma, la guerra legale è servita. D’altra parte nell’assemblea del 23 luglio l’avvocato Massimo Malvestio, in veste di rappresentante proprio di Plavisgas, dal microfono della sala assemblee di Asco Holding lo aveva annunciato: «Il Consiglio di Stato discuterà il ricorso contro il pronunciamento del Tar veneto il 20 settembre. Ci saremo. Nessuno creda che rinunceremo agli effetti del giudicato. L’ordinanza arriverà lunedì 24 settembre».
Una sfida accettata, in realtà. Perché a lanciarla sarebbero stati i Comuni di fede leghista più dura, fanno capire i privati. Che avevano accettato, è la linea, una procedura di uscita concordata. Salvo trovarsi di fronte, in rapida successione, una serie di azioni che la sconfessavano: il tentato blitz parlamentare per modificare la Madia (aprendo tra l’altro il dubbio che il riassetto della società stabilito con il nuovo statuto non sia proprio a tenuta stagna rispetto alla riforma); e poi l’appello alla sentenza del Tar, corredata dalla richiesta di discutere la sospensiva già a luglio; infine l’offerta di F2i, che di certo ha creato problemi ai Comuni interessati ad uscire, trovatisi a dover spiegare, magari alla Corte dei Conti, perché cedevano le quote di fronte a un’offerta migliorativa.
Non è ancora tutto. Entro metà ottobre il Tribunale civile di Venezia si dovrebbe anche pronunciare su un ricorso presentato da una decina di Comuni trevigiani, elaborato dal costituzionalista Mario Bertolissi, che contesta al Cda di Asco Holding, articolo 2409 del codice civile alla mano, «gravi irregolarità commesse nella gestione della società, con il fondato sospetto che sia stato arrecato danno al patrimonio societario ed agli interessi dei Comuni soci».
In tutto questo, i sondaggi sul comportamento dei 90 Comuni soci rispetto al recesso,che scade lunedì prossimo, lascia prevedere che le quote di cui si chiederà la vendita restano distanti rispetto alla soglia massima del 38% che Asco Holding può accettare: si parla di una quota intorno al 30% per una trentina di Comuni. Pronostici, a questo punto, che si vedrà quanto davvero rilevanti. Al pari del processo di cambio di statuto e di uscita dei privati, che si vedrà quanto potrà andare avanti senza intoppi, di fronte a una guerra legale ripartita a tutti gli effetti. Gianni Favero