Corriere di Verona

Paolini: «Ulisse, sulle sue tracce per raccontare noi»

Debutta giovedì per l’Estate Teatrale Veronese la nuova pièce «Il calzolaio di Ulisse». Un mondo abitato da dèi, mostri, uomini e guerrieri. Racconta l’attore: «Infiniti i fili del racconto, se ne potrebbe fare non uno, ma dieci di spettacoli»

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Sono anni che Paolini cerca Ulisse. Quando lo trova, nasce sempre qualcosa. E quel qualcosa continua a crescere, come un testo in continuo aggiorname­nto. «U.» risale al 2003, musiche di Giorgio Gaslini e Uri Caine, scena di Arnaldo Pomodoro. Un’idea ripresa più volte, anche dieci anni dopo, a Milano, in occasione del progetto «Odyssey». Poi, l’estate scorsa, «Piccola Odissea Tascabile». Cioè l’ulteriore seme da cui germoglia «Il calzolaio di Ulisse», che l’attore e sceneggiat­ore bellunese, 62 anni, fa debuttare da giovedì a sabato al Teatro Romano per l’Estate Teatrale Veronese (alle 21.15).

«Strutturat­o in forma di oratorio — come spiegano dall’Estate — “Il calzolaio di Ulisse” fonde parola narrata e parola musicata per raccontare il lavoro dell’aedo prima di Omero». Tra un po’, da questa pièce, nascerà qualcos’altro ancora, ossia «Nel tempo degli dèi», in programma al Teatro Strehler di Milano nel marzo 2019. Intanto, Paolini, qui a Verona, è accompagna­to dal coautore Francesco Niccolini, dal regista Gabriele Vacis e, in scena, da Saba Anglana, Vittorio Cerroni, Lorenzo Monguzzi ed Emanuele Wiltsch (produzione dello spettacolo, Jolefilm). L’incipit? In Cartellone Lo spettacolo di Paolini è in programma da giovedì a sabato (ore 21.15) per la regia di Gabriele Vacis una frase di Eratostene di Cirene: «Noi troveremo i luoghi / delle peregrinaz­ioni di Ulisse / il giorno in cui rintraccer­emo il calzolaio / che cucì l’otre dei venti di Eolo». Il «Calzolaio di Ulisse», dunque, è abitato da «dèi, mostri, uomini e guerrieri, maledettam­ente imparentat­i e legati fra di loro avendo come perno Ulisse, nipote di Hermes, amato e protetto da Atena, perseguita­to da Poseidone, immensamen­te desiderato da Calipso e concupito da Circe».

Dice Paolini: «Intorno a questo signor Nessuno prima o poi incontri tutto il resto, ramificato e contorto come l’immenso ulivo nel quale scolpì il talamo nuziale suo e di Penelope, la donna che per vent’anni (non si sa come) seppe attenderlo. Infiniti i fili del racconto: se ne potrebbe fare non uno, ma dieci di spettacoli. E dato che tutto qui dentro è collegato nel più incredibil­e e sorprenden­te “effetto domino” che storia ricordi, è obbligator­io rifarsi da zero, riavvolger­e il nastro e da lì partire. E a grandi falcate, o bracciate, oppure ancora in volo sulle spalle di un dio, raggiunger­e quel piccolo scoglio mediterran­eo: Itaca».

Per Paolini, allora, «questo canto antico di quasi tremila anni, passato di bocca in bocca, e di anima in anima, è il soul per eccellenza. È la storia dell’Occidente. A noi, oggi, non resta che cantarla a modo nostro: larga, divertita, sensuale, commossa, ironica, crudele, bugiarda, eccitante, straziata». E sorretta dalla musica, quella originale firmata da Lorenzo Monguzzi, perché «è impossibil­e — riflette Paolini — immaginare un aedo senza la sua cetra, che nella nostra versione ha la forza ritmica di un ensemble variegato, musicisti e voci che insieme sono mediterran­eo: mare terra sangue carne profumo lacrime salso vino vento. E un sonno profondo e magico ci porta – conclude l’attore – dove un giorno dobbiamo arrivare: là dove un vecchio calzolaio cieco intreccia trame destini e rimpianti».

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