VENEZIA E LA ROTTA PER MILANO
La settimana scorsa la Regione Veneto ha presentato al Bit di Milano, la più importante fiera italiana sul turismo, il nuovo marchio di promozione territoriale: The
Land of Venic. Il tentativo è di dare maggiore coerenza alla varietà dell’offerta turistica e di aumentare la visibilità internazionale attraverso un brand riconoscibile e di grande effetto. Al di là dell’operazione di marketing, la scelta comunicativa sembra dare delle risposte ad almeno tre temi che hanno animato il dibattito negli ultimi anni. Il primo riguarda l’identità. Per anni questo territorio ha cercato di definirsi senza mai riuscirci pienamente. La stessa definizione di Nordest, pur vantando due padri nobili come Giorgio Lago e Ilvo Diamanti, era residuale e provvisoria, tanto che non ha tenuto al cambiamento innescato dalla crisi del 2008. Il Nordest del boom non c’è più, questo è chiaro. Nell’attesa di una nuova elaborazione culturale, si guarda al passato quando il Veneto era Land, terra in inglese. Ci rappresentiamo come uno spazio indefinito alle spalle della città turistica di Venezia. A quanto pare trent’anni di capannoni e operosità industriale non ci hanno fatto fare grandi passi in avanti. Campagna eravamo ai tempi dei Dogi, campagna ci vediamo ancora oggi. Il secondo tema è la città metropolitana. Per anni ci siamo interrogati sulla necessità di dare al Veneto un assetto metropolitano moderno capace di accrescerne la competitività a livello europeo e internazionale.
La cosiddetta Pa-Tre-Ve (Padova Treviso Venezia) doveva diventare il baricentro attorno a cui coagulare servizi ad alto valore aggiunto e facilitare l’attrazione di talenti. Se Padova e Treviso sono Land, Venezia non se la passa meglio. Non può essere più nemmeno considerata città: è un polo turistico che ha rinunciato a svolgere un ruolo di riferimento per un’area metropolitana. Con buona pace di quanti si sono spesi, il Veneto sembra destinato a rimanere a urbanizzazione diffusa, senza un baricentro, con tutte le conseguenze sulle decisioni in merito alle infrastrutture vecchie e nuove (alta velocità, fiere, porti, aeroporti, ecc.). Il terzo tema tocca il rapporto territorioimprese. Land non è territorio o rischia di non esserlo. Se in passato la crescita economica è stata il risultato di una simbiosi tra impresa e territorio, la globalizzazione e la tecnologia oggi rimettono in discussione il legame. Le imprese, soprattutto medie, guardano al mondo e devono cambiare molto velocemente. Non sempre il territorio è stato in grado di assecondare la trasformazione. Prova ne sia il dibattito su formazione e mancanza di tecnici di alto profilo che lamentano le imprese. Nonostante i molti corpi intermedi, non si è riusciti, o lo si sta facendo solo oggi con ritardo, a rispondere in modo adeguato a queste richieste. Questa separazione, vien da pensare, non potrà che aumentare se il territorio si immagina come generica Land, senza una propria specificità. La conseguenza inevitabile sarà di spingere le imprese a rivolgersi altrove. Non vogliamo esagerare l’importanza di uno slogan. Land of Venice servirà sicuramente ad attrarre qualche turista in più. Ciò detto, la nuova rotta regionale deve tener conto di quanto accade a livello italiano. Milano, ritrovato il suo ruolo di guida economica del Nord, tenderà a reclamare a sé attività legate alla manifattura e ai servizi. Lo spazio metropolitano aumenta la velocità di connessione tra idee, competenze e risorse finanziarie oggi necessarie per competere a livello internazionale. Questa tenderà a rendere Milano interlocutore sempre più importante per le nostre imprese soprattutto per i servizi complessi. Se oggi ci definiamo The Land of Venice, nel giro di qualche anno corriamo il rischio di essere The Land of Milan.
Non è detto sia un male per le imprese venete.