Il fratello di Agim si era reso invisibile
Indagini e pedinamenti per scovare a Milano il complice dell’omicida di Khadija
Era da tempo che gli uomini dell’Arma lo stavano cercando. Ma Vezir Ajdinaj, fratello di Agim (reo confesso dell’omicidio della compagna Khadija Bencheikh, ritrovata a pezzi in un campo di Valeggio la notte dello scorso 30 dicembre) si era letteralmente reso invisibile: a casa, dove viveva con la famiglia, non c’era più nessuno. Lo hanno trovato, grazie a numerosi pedinamenti: e con l’accusa di distruzione di cadavere, lunedì sera, lo hanno arrestato a Milano.
«Agim non avrebbe potuto compiere quella mattanza da solo». È stato questo il convincimento che ha guidato i carabinieri nelle indagini sull’omicidio di Khadija Bencheikh, la donna marocchina di 46 anni ritrovata a pezzi in un campo di Valeggio la notte dello scorso 30 dicembre.
Ad inizio gennaio gli uomini del nucleo investigativo del comando provinciale e quelli dell’aliquota operativa della compagnia di Peschiera avevano arrestato il compagno della donna Agim Ajdinaj, albanese di 51 anni. E nel corso dell’interrogatorio di convalida, lui stesso aveva ammesso di essere stato aiutato dal fratello Vezir a sbarazzarsi del cadavere della compagna che aveva ucciso poco prima nella sua abitazione di piazzale Olimpia: «Gli ho chiesto di aiutarmi a portare via la spazzatura». Ma gli investigatori coordinati dal pm Giovanni Pietro Pascucci sono convinti che il fratello di 54 anni, in realtà, lo abbia aiutato anche a smembrare il corpo senza vita di Khadija. E con l’accusa di distruzione di cadavere, lunedì sera, lo hanno arrestato a Milano su ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Paola Vacca.
Era da tempo che gli uomini dell’Arma lo stavano cercando. Ma Vezir si era letteralmente reso invisibile. A casa, dove viveva insieme alla moglie e alle due figlie, da settimane non c’era più nessuno e il suo telefono risultava spento da tempo. «Abbiamo dovuto pedinare alcuni suoi parenti per riuscire a individuare la zona in cui si era trasferito» ha rivelato ieri il comandante del nucleo investigativo, maggiore Raffaele Federico, al fianco del comandante della compagnia di Peschiera, maggiore Francesco Milardi. Ed è stato così scoperto che, grazie alla complicità di uno straniero che si era intestato contratto d’affitto e utenze varie (posizione, la sua, tutta da chiarire), l’albanese era andato a vivere con tutta la famiglia in via Arquà, in una palazzina poco distante dal parco Trotter. «Non usciva mai di casa e, dopo giornate di appostamento, lunedì sera abbiamo deciso di entrare in azione - hanno spiegato i militari -. Lo abbiamo trovato nell’appartamento, non si aspettava di venire arrestato». Talmente tranquillo da non prendere nemmeno in considerazione l’ipotesi di separarsi da moglie e figli per darsi alla latitanza all’estero. Un’ipotesi inizialmente presa in considerazione dagli inquirenti. Ora è in carcere a San Vittore, in attesa dell’interrogatorio di garanzia alla presenza del suo avvocato Antonio Buondonno. Ma le indagini degli investigatori proseguono per cristallizzare con precisione tutto quel che è avvenuto la terribile notte dello scorso 29 dicembre. Un lavoro certosino, partito dalla ricostruzione delle ultime ore di vita della vittima, rientrata in casa la sera dopo aver trascorso la giornata al lavoro. Era lei, infatti, a preoccuparsi del bilancio familiare. Il compagno Agim, affetto dal morbo di Parkinson, viveva in casa con una pensione. Aiutati anche dalle immagini delle telecamere del palazzo in cui viveva la coppia, i carabinieri hanno potuto accertare l’arrivo di Vezir a Verona (con i mezzi pubblici direttamente da Milano) la sera stessa del 29 dicembre. Con ogni probabilità era stato suo fratello a chiamarlo dopo aver ucciso la poveretta, chiedendogli un aiuto per sbarazzarsi del corpo. Gli orari dei filmati, confermerebbero questa ipotesi, ma ci sono anche altri rilievi tecnici eseguiti dall’Arma a sostenere la tesi accusatoria. Nei guai, oltre al nipote Lisan Ruzdija (arrestato a gennaio insieme allo zio Agim e poi scarcerato dal gip) è finito anche un terzo fratello Ajdinaj, Alfred. 51 anni. L’uomo, al momento, è indagato a piede libero per l’occultamento di cadavere, proprio come il giovane. E nella giornata di martedì è stato ascoltato a lungo dai carabinieri. I due, da quanto trapela, avrebbero avuto un ruolo nel trasporto dei resti del cadavere fino al campo di Valeggio in cui sono stati poi ritrovati da una donna che teneva il suo cavallo in un recinto poco distante. Difficile che l’assassino e i suoi complici avessero scelto a tavolino proprio quel luogo in località Gardoni.
Gli investigatori sono convinti che i quattro abbiano cercato un luogo apparentemente isolato e distante dalla città, contando sul fatto che l’identificazione del cadavere, così smembrato, avrebbe comportato tempi molto più lunghi.