Corriere di Verona

Mamme e papà: «Così abbiamo cresciuto i nostri figli olimpici»

Mamme e papà dei campioni raccontano la passione dei loro ragazzi Sveglie all’alba, pranzi al volo e rinunce: così nascono le vittorie

- Tamiello

Vivono da sempre un doppio ruolo: genitore e primo tifoso. Crescere un campione, però, non è semplice come può sembrare. Sei genitori di atleti veneti (sono 33 quelli partiti per Rio De Janeiro) raccontano le imprese, gli inizi, le difficoltà e i sacrifici dei loro ragazzi per raggiunger­e quel miraggio a cinque cerchi chiamato olimpiadi: Roberto Pellegrini, Adriano Galiazzo, Renato Viviani, Agnese Callegari, Ginetta Pertile e Filippo Lanza.

C’è una dote da riconoscer­e. E questo è solo il primo passo, perché il talento non basta a trasformar­ti in un campione. Poi ci sono le colazioni all’alba, i weekend da dedicare alle gare, i sacrifici e le delusioni da condivider­e e superare. Il tutto da gestire con un doppio ruolo, primo tifoso e genitore, magari con all’orizzonte il miraggio di un sogno a cinque cerchi. Loro ce l’hanno fatta: sono i papà e le mamme dei 33 atleti veneti che faranno parte della spedizione azzurra a Rio De Janeiro a partire da venerdì 5 agosto. Qualcuno li seguirà in Brasile, qualcun altro li aspetterà a casa, come ha sempre fatto. Rimarranno a Spinea, per esempio, i genitori di Federica Pellegrini, ormai veronese d’adozione. «Noi ci siamo trovati con una ragazzina di 16 anni sul tetto del mondo – racconta Roberto – eppure sappiamo bene quanta fatica c’è voluta». Super Fede, da quel lontano 2004, non si è più fermata. Pechino, Londra e ora Rio. Le doti naturali, però, vanno coltivate. Diceva Émile Zola: l’artista è nulla senza il talento, ma il talento è nulla senza lavoro. Dodici anni ai massimi livelli, in uno sport in cui le prestazion­i calano al crescere dell’età molto più rapidament­e che in altre discipline, si giustifica­no solo con una volontà d’acciaio. «Ricordo Federica a 10 anni – continua – che mangia la pastasciut­ta in macchina, in un pentolino di metallo, per arrivare in tempo all’allenament­o delle 14 finita la scuola. L’immagine di quella profession­ista bambina la porterò sempre con me». Per non parlare poi delle levatacce all’alba. «Partivamo alle 5.30, la portavamo in piscina e poi andavamo a prenderla, a casa a fare colazione di corsa e poi a scuola».

Sogna una medaglia il ciclista veronese Elia Viviani. Eppure anche lui sembrava avviato verso una carriera da calciatore. «Il fratello Luca – dice papà Renato – ha giocato nelle giovanili del Verona, ha fatto diversi anni in LegaPro e adesso è in Serie D. Elia ha lasciato il calcio (giocava nel Vallese di Oppeano, ndr) a otto anni perché un amichetto aveva iniziato a correre in bicicletta». Iniziata la carriera, finiti i weekend. «Beh con tre figli atleti – sorride Renato – i nostri fine settimana erano un po’ un incubo, erano i giorni più duri della settimana anche perché le trasferte si facevano sempre più impegnativ­e. La scuola? Elia è stato fortunato, un compagno di classe gli spediva sempre tutti i compiti via mail quando lui era in giro per i vari ritiri della nazionale».

Filippo Lanza, schiacciat­ore della Trentino Volley, abbandonò la sua Colognola ai Colli a soli 14 anni. «Fu un caso – spiega il padre Cristiano – avevo un amico che lavorava nelle selezioni di Verona. Al momento la separazion­e sembrava dolorosa, ma abbiamo capito che poteva essere un’opportunit­à di sport ma anche di vita». Nonostante i successi, i trofei e le medaglie, per qualcuno le «sliding doors» dell’avvio della carriera rimangono sempre un’emozione indimentic­abile. L’arciere padovano Marco Galiazzo, per esempio, fino a 13 anni, come la stragrande maggioranz­a dei suoi coetanei, giocava a calcio. Altro che estate carioca, allora c’era solo una Rio, quella Rio di Ponte San Nicolò alle porte della città del Santo. «A dire il vero non è che gli piacesse più di tanto – confida papà Adriano – lo faceva per stare con gli amici. Poi accadde quella cosa che sembrò davvero un segno del destino. Una zia gli regalò un arco per la cresima. Non ne aveva mai visto uno in vita sua, eppure lo impugnò come se non avesse fatto altro fino ad allora». Ci mise poco a sbocciare: a 14 anni era già in nazionale. «Marco non è un atleta, è uno spirito. Lavora e si prepara, ci mancherebb­e altro, ha una massa muscolare impression­ante (guai a definirlo “cicciottel­lo”, ndr) costruita con l’allenament­o. Ma il resto è solo natura. È come Maradona, ci nasci così». E sulla carriera calcistica mancata c’è qualche rimpianto? Per ora Adriano ci scherza su: «È il mio più grande rammarico – dice - se avesse sfondato adesso saremmo ricchi!». I genitori non sono tutti uguali: c’è anche chi segue con orgoglio ma (all’apparenza) senza troppo entusiasmo. «Sarà anche l’ultima volta questa, no? Mi dice sempre così. Ha anche un’età, non sarebbe il caso di dire basta?» Ginetta Pertile, mamma di Ruggero, il 42enne maratoneta di Villanova di Camposampi­ero, ha lo stampo del genitore vecchio stile, quello per cui è sempre tempo di «mettere la testa a posto». «Io non ero troppo contenta, preferivo che lavorasse – racconta – ma a lui piaceva. Ha cominciato a otto anni. Qua correvano tutti, anche i suoi tre fratelli. Ma lui è l’unico a essere andato avanti». Eccome se è andato avanti: Ruggero è come il vino buono, migliora con gli anni. «Andava a correre la mattina, prestissim­o, per poi andare a lavorare. È stato davvero bravo, dai».

Per Beatrice Callegari, nuoto sincronizz­ato, la prima volta in piscina è stata a soli nove mesi. «Volevo trasmetter­e la mia passione sia a lei sia alla sorella, Valentina– dice mamma Agnese – L’impegno? Vederle felici ci ripagava di tutto». E ora ci sono quei cinque cerchi che fanno venire la pelle d’oca e scendere qualche lacrimucci­a. «Mi emoziona vedere lo spot in tv. Mi ricorda tutti i suoi sforzi, mi ricorda quando a 16 anni voleva smettere perché vedeva le amiche andare in discoteca mentre lei si allenava. Mi ricorda, soprattutt­o, di come ha superato i momenti difficili, continuand­o a lavorare a testa bassa per realizzare i suoi sogni».

Adriano Galiazzo La prima volta che impugnò un arco fu alla cresima e sembrava ci fosse nato. Un talento, come Maradona Roberto Pellegrini Ricordo Fede a 10 anni, in macchina, a mangiare la pasta in un pentolino per arrivare in tempo all’allenament­o Renato Viviani Con tre figli atleti, i weekend di trasferta erano i giorni più duri della settimana. Ma quante soddisfazi­oni!

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 ??  ?? Veneti a cinque cerchi In alto da sinistra: Marco Galiazzo, Federica Pellegrini e Elia Viviani. In basso: Filippo Lanza, Beatrice Callegari e Ruggero Pertile.
Veneti a cinque cerchi In alto da sinistra: Marco Galiazzo, Federica Pellegrini e Elia Viviani. In basso: Filippo Lanza, Beatrice Callegari e Ruggero Pertile.
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