Alla ricerca del passato con The Protagonists, Bellocchio e Castellitto
Alla ricerca del cinema del passato, anche quando è ancora relativamente recente, come nel caso del primo film, nel 1999, di Luca Guadagnino. O più remoto, come per «Sbatti il mostro in prima pagina» di Marco Bellocchio, del 1972. Il festival «Il Cinema Ritrovato» oggi presenta all’Arlecchino, alle 18.15, l’esordio del regista siciliano, «The Protagonists», un mélo in cui appariva già come narratrice la musa Tilda Swinton, con apparizioni di Michelle Hunziker e Laura Betti. Restaurato dal laboratorio bolognese L’Immagine Ritrovata, lo stesso Guadagnino tempo dopo lo avrebbe definito «quasi imbarazzante».
Prima, alle 16.45 al Modernissimo, un altro restauro sempre curato dal laboratorio di via Riva di Reno, «Sbatti il mostro in prima pagina», introdotto da Marco Bellocchio, presidente della Cineteca di Bologna, che poi alle 19 resterà nella stessa sala per un dialogo con Sergio Castellitto. Il film, che dopo l’anteprima bolognese e il passaggio a Cannes tornerà nelle sale dal 4 luglio, affronta il tema della manipolazione della verità. «In questo — dice Bellocchio — è modernissimo, anche se si riferisce a tecniche artigianali del passato. Però ha una forma piuttosto semplice capace di comunicare in modo diretto. Ci sono il buono, una persona onesta che oggi non si riesce più a decifrare nel solco del cinema civile, il cattivo, la pazza. Volonté veniva da Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto che lo aveva consacrato come attore di primissima fila. Lo facemmo con molto impegno, io volevo dimostrare, in quanto molto giovane, che ero in grado di fare un film su commissione.
Ma si lavorò senza scontri e pericolose incomprensioni, dopo con lui non ci furono più occasioni di lavorare insieme».
Goffredo Fofi, co-sceneggiatore del film con Sergio Donati, nel suo libro «Il cinema italiano d’oggi» ha raccolto da Bellocchio la genesi del film: «La lavorazione era iniziata con Sergio Donati come sceneggiatore e regista. Di comune accordo lui e il produttore avevano giudicato che Donati non era in grado ancora di poter passare alla regia, e così Franco Committeri si dette da fare per trovare uno che riprendesse il film. Io accettai perché mi interessava un’esperienza di questo genere. Saltare su un treno già in marcia, vedere cosa si poteva fare come lavoro strettamente professionale, e anche trasformare il film, che era un giallo sul mondo del giornalismo milanese, in un film di taglio politico. Mi trascinai appresso Fofi e con lui riscrivemmo la sceneggiatura giorno per giorno, mentre si girava. Restarono gli ambienti, restarono quasi tutti gli attori, ma vennero aggiunti nuovi ruoli, tra cui quello fondamentale di Laura Betti, e la storia diventò completamente diversa».
Il modello, ricorda lo stesso Fofi, «era il Fritz Lang dei piccoli film americani. Una storia veloce che mostrasse il funzionamento del potere dentro i mass-media a partire da un caso di manipolazione politica che era ricalcato su quello di Valpreda».