Quel tempo sospeso
Boccagni e l’esperienza in un Centro richiedenti asilo raccontata nel libro del Mulino «Vite ferme. Storie di migranti in attesa» che l’autore presenta in Salaborsa
Den non è mai andato a scuola nel suo Paese, da cui è partito «piccolino», a 13 anni. Ha lavorato un anno «in una fabbrica di tubi» in Algeria, abitando sopra la fabbrica. Poi la Libia e l’Italia. Il suo compleanno è in agosto, un giorno che non se lo ricordava neanche, si è svegliato con i messaggi d’auguri dei suoi amici. Salim, invece, come lo conosci si presenta per quello che fa - il suo lavoro - e non per quello che giuridicamente è, prima un richiedente asilo, poi un migrante in cerca di qualche altro documento più o meno regolare e prolungato. «Sono un sarto». Lo era prima, cerca di continuare a esserlo ora, con il sostegno di qualche associazione o movimento. Anche se poi qualsiasi lavoro che trova, quando lo trova, va bene. Sono due delle storie raccolte da Paolo Boccagni, docente di Sociologia e Diversità e relazioni interculturali all’Università di Trento, nel volume Vite ferme. Storie di migranti in attesa, edito dal Mulino. Quasi tutte di ragazzi ventenni, neri, africani, richiedenti asilo, sopravvissuti a viaggi della disperazione, ancora in attesa di sapere se avranno il permesso di vivere nel Paese in cui si trovano da anni. Il libro, che verrà presentato domani alle 18 in Salaborsa dall’autore con Monia Giovannetti e Jora Mato, racchiude un’esperienza di osservazione della vita di richiedenti asilo accolti in una struttura di Trento, un ex motel di periferia come migliaia di altri luoghi di confinamento. Quattro anni di visite da parte di Boccagni, duetre volte la settimana, tra febbraio 2018 e aprile 2022, centinaia di incontri tra persone accolte, operatori e volontari e, attraversando la pandemia, i mutamenti normativi, i cambi di gestione, gli ingressi e le uscite dei profughi dalla struttura. Però, sottolinea lo studioso, «la vita del richiedente asilo, o del rifugiato, non è soltanto uscita, transito, mobilità forzata e protratta. È anche, e per lunghi anni, stasi, immobilità, attesa». Anni che possono trascorrere dentro spazi come il centro che fa da palcoscenico nel libro, che raggruppa quindici stanze e privilegia un tono narrativo. «Luoghi - scrive il sociologo - in cui si è arrivati per caso, si ha diritto a stare, non si intravedono opzioni alternative o di pari convenienza e ci si resta fino a nuovo ordine. Luoghi in cui si abita da ospiti con un grado variabile, ma spesso inferiore al dichiarato, di accompagnamento, presidio, controllo. Luoghi a volte isolati in cui nulla succede, o così parrebbe da fuori, se non aspettare. Far trascorrere il tempo. Luoghi che ricordano parcheggi in malo stato più che prigioni».
Vite ferme racconta microscopiche storie di casa, storie di vite vissute e non ancora narrate, «che non trovano spazio nelle grandi narrazioni collettive dell’accoglienza: solidarietà, controllo, assistenza, resistenza, attesa, e così via». Centri che hanno anche la funzione di «tenere sotto traccia, chiudere nelle stanze (e nei telefoni, e nella coscienza, e nei ricordi) i vissuti traumatici. Privatizzarli, perché sono cose intime. Ma anche represse e difficili da gestire. Una risorsa inalienabile e un peso da portarsi dietro nel tempo. Sotto la patina del saluto convenzionale non ci sono solo le ansie e le fatiche di oggi. Ci sono anche i demoni di prima. Che devono rimanere chiusi in bottiglia, altrimenti poi non si sa bene cosa farne». Anni vissuti da Halebugor, Ninu, Olusola, Omokunrin, Fatou, Suka, Woikat, Kambanoo, Larka, Shab, insieme e da soli, conclude Boccagni, dentro le stesse stanze, che «bastano a ospitare tante storie nuove, complesse e importanti, per chi ha la pazienza di raccoglierle e ascoltarle. Dopo, per chi le ha vissute, quasi tutto proseguirà come prima. Per chi le ha ascoltate e condivise nulla sarà più come prima. Per chi le legge, si vedrà».
Solidarietà, controllo, assistenza, resistenza, attesa. L’autore offre piccole storie di casa, di esistenze vissute, che non trovano spazio nelle grandi narrazioni collettive