I RISCHI DA EVITARE
C’è una domanda alla quale ormai dobbiamo cercare di dare una risposta e che forse si dovrebbe porre ognuno di noi, mentre i dati dei contagi pericolosamente risalgono e anche il vaccino ci appare oggi più come una lunga maratona che una corsa. La domanda è questa: perché nella vita quotidiana ignoriamo che il virus si diffonde più facilmente proprio dove ci sono molte persone insieme, vicine? Perché corriamo tutti insieme a far compere durante le feste o il sabato o a prendere l’aperitivo dove si può dimenticando tutto quello che è successo in questi mesi, i morti certo, ma anche tutte quelli sono finiti in ospedale, in terapia intensiva, anche per molto tempo, i lockdown? Insomma, perché non stiamo in allerta?
C’è una risposta, anzi più di una, semplice, che ognuno di noi si dà. Perché è consentito. Perché è persino incentivato: il cashback per noi, il Pil per commercianti e ristoratori. Perché poi richiudono. Perché a me non accadrà, ho la mascherina. Perché a me finora non è accaduto.
Ma ci sono anche risposte più complicate. Alcune riguardano noi. Ignoriamo che una folla è alla fine composta di tante singole persone, da ognuno di noi. Perché non ci pensiamo più come comunità?
Forse la vita che viviamo ci spinge in questa direzione. Il Novecento è stato il secolo dei partiti, degli oratori, delle ideologie, degli scout, solo per fare degli esempi. Insomma, nel bene e nel male, delle comunità. Il duemila è il secolo degli uomini e delle donne soli. Internet per esempio fu salutato come una liberazione, una enorme possibilità di comunicazione, di diffusione della cultura, del commercio, delle idee, dei rapporti. E lo è. Nel tempo però la tecnologia ci sta conducendo a un mondo di singoli uomini e di singole donne. Ognuno di noi può raggiungere qualunque parte del mondo, ognuno di noi può comprare un regalo anche in Australia, dal pc o dal nostro telefono, o vendere qualcosa in qualunque parte del mondo a un acquirente. Ognuno di noi può chiederlo persino personalizzato. La pubblicità arriva sul nostro smartphone in base alle ultime ricerche che abbiamo fatto su Google. Siamo tutti opinionisti, scienziati, giornalisti, fotografi, contadini, cuochi, esperti di qualcosa su twitter. Insomma, ognuno di noi è solo, con le sue idee, le sue rabbie, i suoi sogni e la sua carta di credito. Difficile, forse impossibile trasformarsi improvvisamente in una comunità.Altre domande riguardano il governo nazionale, le Regioni e la politica in genere. Nella gestione della pandemia in Italia per esempio c’è un evidente «ingentilimento» dell’emergenza: c’è stato nei Dpcm e nelle parole di ministri, sindaci, governatori e rappresentanti dell’opposizione dall’inizio a oggi. Basta vedere l’ultima trovata, i padiglioni realizzati da Stefano Boeri dove prima o poi somministrato il vaccino. «L’Italia rinasce con un fiore» c’è scritto in grande accanto a una primula stilizzata. Volevamo dare «fiducia e serenità», spiega Boeri, «Dovevamo evitare un messaggio coercitivo, che spaventasse». Davvero avevamo bisogno di questo? Di fiducia e serenità, invece che di allarme e attenzione? E davvero abbiamo bisogno di governatori che chiedono di riaprire qualcosa (discoteche, piste, ristoranti, bar, negozi, scuole a secondo del momento) e nessuno che chieda di chiudere?