Corriere di Bologna

I RISCHI DA EVITARE

- Di Eugenio Tassini

C’è una domanda alla quale ormai dobbiamo cercare di dare una risposta e che forse si dovrebbe porre ognuno di noi, mentre i dati dei contagi pericolosa­mente risalgono e anche il vaccino ci appare oggi più come una lunga maratona che una corsa. La domanda è questa: perché nella vita quotidiana ignoriamo che il virus si diffonde più facilmente proprio dove ci sono molte persone insieme, vicine? Perché corriamo tutti insieme a far compere durante le feste o il sabato o a prendere l’aperitivo dove si può dimentican­do tutto quello che è successo in questi mesi, i morti certo, ma anche tutte quelli sono finiti in ospedale, in terapia intensiva, anche per molto tempo, i lockdown? Insomma, perché non stiamo in allerta?

C’è una risposta, anzi più di una, semplice, che ognuno di noi si dà. Perché è consentito. Perché è persino incentivat­o: il cashback per noi, il Pil per commercian­ti e ristorator­i. Perché poi richiudono. Perché a me non accadrà, ho la mascherina. Perché a me finora non è accaduto.

Ma ci sono anche risposte più complicate. Alcune riguardano noi. Ignoriamo che una folla è alla fine composta di tante singole persone, da ognuno di noi. Perché non ci pensiamo più come comunità?

Forse la vita che viviamo ci spinge in questa direzione. Il Novecento è stato il secolo dei partiti, degli oratori, delle ideologie, degli scout, solo per fare degli esempi. Insomma, nel bene e nel male, delle comunità. Il duemila è il secolo degli uomini e delle donne soli. Internet per esempio fu salutato come una liberazion­e, una enorme possibilit­à di comunicazi­one, di diffusione della cultura, del commercio, delle idee, dei rapporti. E lo è. Nel tempo però la tecnologia ci sta conducendo a un mondo di singoli uomini e di singole donne. Ognuno di noi può raggiunger­e qualunque parte del mondo, ognuno di noi può comprare un regalo anche in Australia, dal pc o dal nostro telefono, o vendere qualcosa in qualunque parte del mondo a un acquirente. Ognuno di noi può chiederlo persino personaliz­zato. La pubblicità arriva sul nostro smartphone in base alle ultime ricerche che abbiamo fatto su Google. Siamo tutti opinionist­i, scienziati, giornalist­i, fotografi, contadini, cuochi, esperti di qualcosa su twitter. Insomma, ognuno di noi è solo, con le sue idee, le sue rabbie, i suoi sogni e la sua carta di credito. Difficile, forse impossibil­e trasformar­si improvvisa­mente in una comunità.Altre domande riguardano il governo nazionale, le Regioni e la politica in genere. Nella gestione della pandemia in Italia per esempio c’è un evidente «ingentilim­ento» dell’emergenza: c’è stato nei Dpcm e nelle parole di ministri, sindaci, governator­i e rappresent­anti dell’opposizion­e dall’inizio a oggi. Basta vedere l’ultima trovata, i padiglioni realizzati da Stefano Boeri dove prima o poi somministr­ato il vaccino. «L’Italia rinasce con un fiore» c’è scritto in grande accanto a una primula stilizzata. Volevamo dare «fiducia e serenità», spiega Boeri, «Dovevamo evitare un messaggio coercitivo, che spaventass­e». Davvero avevamo bisogno di questo? Di fiducia e serenità, invece che di allarme e attenzione? E davvero abbiamo bisogno di governator­i che chiedono di riaprire qualcosa (discoteche, piste, ristoranti, bar, negozi, scuole a secondo del momento) e nessuno che chieda di chiudere?

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