Uno Bianca, Amato: gli atti del processo saranno digitalizzati
Se la strada per nuove indagini sui crimini della Uno Bianca passa attraverso a digitalizzazione degli atti, la Procura è pronta a questo passo ma «mancano i fondi», spiega il procuratore capo Amato, che incalza le istituzioni affinché «eroghino i finanziamenti».
Intanto l’avvocato Alessandro Gamberini, che assiste il fratello di Mitilini (una delle vittime del Pilastro) sta preparando un nuovo esposto con «fatti conosciuti che diventano nuovi perché letti sotto una luce diversa», spiega.
Tutti gli atti del processo alla banda della Uno Bianca sono pronti per essere digitalizzati. Lo assicura il procuratore capo Giuseppe Amato che all’indomani del trentesimo anniversario della strage del Pilastro spiega: «Ci siamo mossi già da tempo, abbiamo parlato più volte con la presidente dell’associazione delle vittime e coinvolto sia il Ministero della Giustizia che la Regione». Per Amato la digitalizzazione «è un atto dovuto prima di tutto per rispetto delle vittime, poi è una scelta di progresso della giustizia, per conservare a futura memoria l’archivio di un processo così importante». Se la volontà e i presupposti dunque già ci sono, ciò che manca ancora all’appello sono le risorse finanziarie, a cui dovrebbero provvedere le istituzioni.
«Siamo inattesa che vengano elargiti i fondi — prosegue il procuratore — poi si dovranno stabilire le modalità con cui riversare gli atti, suppongo che se ne dovrà occupare una cooperativa specializzata».Digitalizzare per ricordare prima di tutto, perché, sottolinea il procuratore, «quella della Uno Bianca è una vicenda che ha segnato non solo la storia di Bologna, ma dell’intero Paese ed è giusto che se ne preservi la memoria».
Molti tra i familiari delle vittime dei Savi sperano che la digitalizzazione sia un passo anche verso una riapertura delle indagini, o quantomeno un tentativo di diradare alcune ombre mai svanite. Per riaprire un fascicolo la Procura avrebbe bisogno di elementi probatori nuovi e la digitalizzazione sarà compiuta a prescindere da questi, nè il procuratore commenta le dichiarazioni circolate nei giorni scorsi: «Non potrei comunque parlare di indagini», taglia corto. I familiari da tempo lavorano a un nuovo esposto, anche se la presidente Rosanna Zecchi ha già detto di voler attendere che gli atti del processo siano digitalizzati. «Ci vorrà un altro po’ di tempo per terminare la stesura dell’esposto ma siamo pronti, forse qualche mese, ma sarà certamente un percorso più veloce della digitalizzazione degli atti», dice invece Ludovico Mitilini, fratello di Mauro, uno dei tre carabinieri uccisi al Pilastro. «Ci sono circostanze che vanno approfondite e che sveleremo solo quando presenteremo l’esposto» prosegue Mitilini, che chiarisce di condividere con la presidente Zecchi l’impegno per la digitalizzazione, «uno strumento utile. In un modo o nell’altro tutti vogliamo la verità, ma dobbiamo attendere i finanziamenti per poi procedere all’archiviazione di centinaia di faldoni, operazione che richiederà molto tempo. Se ci sono spunti, meglio non perderne di tempo,perché è nemico della verità». Alessandro Gamberini, avvocato della famiglia Mitilini, spiega che nell’esposto finiranno «fatti conosciuti che diventano nuovi perché letti sotto una luce diversa».Quella che segue la pista dell’eversione. «La banda non può essere chiusa nella ristretta camicia dei delinquenti in divisa — ne è certo Gamberini —. Non rimprovero la Procura: ebbe anche il coraggio di ripartire daccapo, ma focalizzandosi sull’esperienza della criminalità comune e non su quella dell’eversione, che trent’anni dopo sembra emergere con
” L’avvocato Gamberini La banda non può essere chiusa nella ristretta camicia dei delinquenti in divisa: fu eversione
sempre maggiore evidenza. Non dimentichiamo il contesto in cui la banda opera, a cavallo tra Prima e Seconda Repubblica». Nell’esposto dei familiari potrebbe finire la testimonianza di un giornalista ungherese, László Posztobányi, che pochi giorni fa ha dichiarato di aver saputo da Eva Mikula dell’esistenza della banda molto tempo prima degli arresti. Informazioni che lui stesso avrebbe passato ai servizi segreti ungheresi che le avrebbero poi girate alla polizia italiana. Per Mitilini «di fronte a queste nuove dichiarazioni è necessario che le autorità competenti si assumano la responsabilità di fare chiarezza».