Un milione di dollari da Gelli ai Nar: si incontrarono prima della strage
L’inchiesta sui mandanti
Nelle carte della Procura generale si parla di un milione di dollari in contanti consegnati come acconto pochi giorni prima del 2 agosto ai Nar da Licio Gelli o un suo emissario per la strage e i successivi depistaggi.
Un milione di dollari consegnato in contanti da Licio Gelli a Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, ma non solo, il 31 luglio 1980. Un’ipotesi contenuta nell’inchiesta della Procura generale sui mandanti della strage del 2 Agosto che, se confermata, sarebbe un passo avanti senza precedenti nella ricerca della verità sul più grave attentato nella storia della democrazia italiana.
La pista che porta a quei soldi arriva da un manoscritto sequestrato a Gelli il 17 marzo 1981, a Castiglion Fibocchi, lo stesso giorno in cui fu rivenuta la lista della P2. In quel manoscritto, ha ricostruito il nucleo di polizia economico finanziaria di Bologna che per la prima volta dopo 40 anni ha unito fili che finora non portavano da nessuna parte, Gelli riassume un’operazione da 5 milioni di dollari, gestita attraverso M. C.: il suo fiduciario italo-svizzero Mario Ceruti, e facenti parte di un flusso più ampio di 10 milioni che Gelli e Umberto Ortolani, il banchiere della P2, sottrassero dal crac del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Nel foglio, il capo della P2 annota di aver «consegnato contanti», per «un milione di dollari», «dal 20 al 30 luglio 1980», cioè subito prima l’attentato in stazione e poi di aver accreditato altri 4 milioni presso la Ubs di Ginevra il 1° settembre. Denaro che coincide con i movimenti sui conti svizzeri 525779 X.S. (intestato a Gelli) e Bukada e Tortuga, intestati a Ceruti, annotati su un altro manoscritto: il famoso documento Bologna sequestratogli il 13 settembre ’82 al momento del suo arresto in Svizzera. Per gli inquirenti quel milione di dollari sarebbe stato consegnato proprio ai Nar come anticipo per la strage, in un incontro a Roma. Nella capitale c’era sicuramente Gelli, che risiedeva in una stanza dell’hotel Excelsior, ma gli inquirenti
Per i pm anche Avanguardia nazionale di Stefano Delle Chiaie partecipò alla strage
ritengono di avere le prove che ci fosse anche Ceruti, con il milione di dollari, e che abbiano incontrato Mambro e Fioravanti, che invece hanno sempre sostenuto di essere andati a Taranto la mattina del 31 luglio per poi rientrare in tempo a Roma e prendere l’ultimo aereo per Venezia delle 19.45. Ma per l’accusa è un falso alibi per collocarsi lontano da Roma.
Tornando al manoscritto, nella relazione finale depositata a novembre scorso, la Guardia di Finanza fa notare che il foglio riporta una linea orizzontale, che separa le due operazioni di luglio e settembre, «quasi a determinare un evento» che fa da spartiacque tra gli anticipi e il saldo, cioè la strage. Ma dal documento Bologna la Guardia di Finanza è riuscita a risalire anche a 850mila dollari finiti in conti esteri intestati al potente capo dell’ufficio Affari riservati del Viminale Federico Umberto D’Amato, anche lui indicato tra i mandanti della strage nella nuova inchiesta. Si riferirebbe a lui, il cui soprannome era Zafferano per la sua passione per la cucina, l’annotazione «relaz. Zaff.», e in quei mesi lo stesso D’Amato acquistò un immobile a Parigi. Ma Federico D’Amato sarebbe stato anche l’anello di congiunzione con Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia nazionale, morto a settembre scorso e assiduo frequentatore del suo ufficio al Viminale. Anche il suo nome compare nelle carte della Procura generale che è convinta che alla strage abbiano partecipato tutti i gruppi della destra eversiva: i Nar, An, Terza Posizione e Ordine nuovo e che quel giorno in stazione non ci fossero solo Mambro, Fioravanti, Ciavardini e Cavallini, condannati come esecutori, e Paolo Bellini, per il quale pende la richiesta di rinvio a giudizio, ma ci fossero anche altri. Infine, proprio nell’archivio segreto di D’Amato in via Appia a Roma è stato rinvenuto l’appunto riservatissimo con cui il capo della polizia Vincenzo Parisi informava il ministro dell’Interno Amintore Fanfani del «ricatto allo Stato» con cui il legale del Venerabile nell’ottobre 1987 avvisò che Gelli, che di lì a poco sarebbe stato interrogato per il depistaggio sulla strage, era pronto a «tirare fuori gli artigli».