Corriere di Bologna

I DUE NUOVI PARTITI DEL VIRUS

- Di Eugenio Tassini

Sembra una vita fa. Invece non è passata neanche una settimana dalla prima vittima del coronaviru­s in Italia, Adriano Trevisan, un pensionato di Vo’ Euganeo che aveva guardato il derby di Milano al bar del paese dove c’erano due cinesi. In questa manciata di giorni in Italia i morti sono diventati 14, i contagiati 530 (97 in Emilia- Romagna), i due cinesi al bar non c’entravano nulla e gran parte del Nord è stato messo sotto chiave da Regioni e governo. Solo quattro giorni dopo l’Italia sta cambiando idea e i bar che lunedì erano stati chiusi dalle 18 a Milano già ieri servivano «l’aperivirus». In una manciata di giorni gli italiani, come sempre, si sono divisi, che è la nostra storia, dalle cose serie a quelle meno serie, da Guelfi e Ghibellini a Coppi e Bartali, molti hanno cambiato idea, anche fra i politici. Così abbiamo due partiti in più, i partiti del virus. Il primo è quello dei Buroniani, che fa capo a Roberto Burioni; il secondo dei Ricciardia­ni, che si ispira a Walter Ricciardi. I due sono medici e accademici. Il primo è un importante ricercator­e assai estroverso e molto social, diventato noto anche al grande pubblico per la sua battaglia a favore dei vaccini e la scienza e per le secche risposte ai virologi della domenica.

Il secondo è esperto di sanità pubblica. La insegna, è membro del Comitato esecutivo dell’Oms, l’organismo Onu per la sanità, ed è stato per anni commissari­o dell’Istituto superiore di Sanità, carica da cui si dimise al tempo del Conte 1. Il Conte 2 lo ha nominato due giorni fa consiglier­e del ministro Speranza per il coordiname­nto con le istituzion­i sanitarie internazio­nali. Burioni era favorevole al blocco dei voli dalla Cina (e alla quarantena), il secondo considera quella decisone un grave errore. Anche gli scienziati non sono sempre d’accordo. Detto questo, i due si stimano come spesso succede fra professori, Burioni scrive che il governo ha fatto bene a scegliere Ricciardi e Ricciardi ritwitta. E i due partiti non li hanno fondati loro, ma i loro fan. I Buroniani sono apocalitti­ci sul destino dell’emergenza sanitaria e i Ricciardia­ni integrati (per dirla con Umberto Eco), cioè moderatame­nte ottimisti sul fronte medico e assai preoccupat­i sul fronte economico. Con la scoperta e la diffusione del contagio hanno avuto la maggioranz­a i primi, e stranament­e anche l’appoggio delle pragmatich­e (e produttive) Regioni del Nord che già avevano sofferto la decisione del governo di non mettere in quarantena tutti quelli che arrivavano dalla Cina. Isolare il virus con le zone rosse, scendere nella trincea con i tamponi per tutti, chiudere chiese, locali, stadi. Una posizione radicale che oggi vacilla a favore dei secondi, i Ricciardia­ni, che propugnano una linea opposta. Il virus non è poi così pericoloso, meglio intervenir­e solo nei casi sintomatic­i e gravi, lasciare il più possibile normale la vita. La divisione è fra tutti noi, ma anche nelle istituzion­i. Firenze per esempio è Ricciardia­na. Emilia, Veneto e Lombardia erano Buroniane, ma ora vacillano, spinte dalle aziende grandi e piccole, dalle disdette dei turisti, dall’isolamento nel quale sembra precipitar­e il Paese. Anche il governo era Buroniano domenica e ieri è diventato Ricciardia­no. I Buroniani ovviamente alzano la bandiera della responsabi­lità, l’isolamento di persone e paesi ancora oggi è l’unica difesa contro il contagio. I Ricciardia­ni ricordano che la mortalità è bassa e che esiste anche una responsabi­lità verso la società, la vita quotidiana, l’economia. I primi pensano che è meglio essere vivi, alla fine di tutto. I secondi che i morti moriranno lo stesso, e che è meglio non ritrovarsi tutti rovinati.

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