L’Ateneo manda i prof a ripetizione
Corsi di didattica innovativa per spiegare come insegnare alle nuove generazioni
Quando il professore va in crisi davanti a una platea di studenti più ampia di quella a cui è abituato. O quando non sa più come tenere l’attenzione degli allievi, distratti da tablet e smartphone. Che fare quando il docente universitario va in crisi in uno dei settori cardine della sua professione, quella di insegnare? Torna a lezione. Ed è così per quasi duecento prof di Unibo che la scorsa settimana hanno partecipato al primo evento di AlmaDClub.
Quando il professore va in crisi davanti a una platea di studenti più ampia di quella a cui è abituato. Quando non sa più come tenere l’attenzione degli allievi, distratti da tablet e smartphone. Quando non sa che parole usare se deve fare lezione a duecento matricole, lui che è abituato a spiegare elaborati algoritmi a gruppi ristretti di iscritti a una laurea magistrale. Insomma, che fare quando il docente universitario va in crisi in uno dei settori cardine della sua professione, quella di insegnare? Torna a lezione. Ed è così per quasi duecento prof di Unibo che la scorsa settimana hanno partecipato al primo evento di AlmaD-Club, un progetto che docenti rivolgono ad altri docenti per aiutarli ad innovare la didattica.
«È stato un evento in cui si sono esaminati dei casi concreti per cercare le soluzioni», spiega Elena Lupi, delegata del rettore per l’innovazione della didattica. E non è un caso che per la presentazione di AlmaD-Club sia stata scelta un a frase del geniale artista e pedagogo Bruno Munari: «Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco». Perché la parola d’ordine è abbandonare il vecchio metodo di «mettersi in cattedra» e interagire con lo studente. «Abbiamo il caso del professore che fa normalmente lezione a una laurea magistrale e si trova di fronte le matricole al primo anno, che hanno caratteristiche diverse, sono più esposti ai contenuti audiovisivi — spiega ancora Luppi —, è chiaro che il professore deve diventare più smart. Poi c’è il caso di chi si trova a fare lezione in una classe rigida, quelle ad anfiteatro, belle da vedere ma cge sono un ostacolo quando fai interagire gli studenti. Come fare poi se hai davanti un gruppo molto ampio di studenti? Come si riescono a motivare nel modo giusto? E se il gruppo viceversa è molto piccolo?».
Insomma, i prof devono imparare oggi ad essere flessibili. Una rivoluzione copernicana soprattutto per chi ha decenni di servizio alle spalle e non si è mai trovato di fronte all’esigenza di modernizzare il proprio modo di fare lezione. Oggi a spingerlo sono gli esiti degli esami che l’Ateneo tiene monitorati. Quando il 70% degli studenti non passa quell’esame il problema non è degli studenti, ma del professore. «Sta cambiando il modo di insegnare come sta cambiando l’Ateneo che forma grandi numeri di studentesse e studenti anche a professioni nuove — dichiara Enrico Sangiorgi, prorettore alla didattica —. La didattica va innovata ribaltando la prospettiva per cui non è più solo la disciplina che detta le modalità di insegnamento ma anche come apprende lo studente ».
Una delle azioni strategiche dell’Ateneo guidato da Francesco Ubertini è dedicata appunto all’innovazione della didattica a cui è dedicato un centro ad hoc dove vengono studiate le diverse iniziative. L’evento della scorsa settimana ha dato il via ad AlmaD-Club, «un gruppo aperto in cui si discute come consolidare la rete di relazioni e favorire la generazione e condivisione di idee, nuovi metodi e progetti per il miglioramento continuo della qualità della didattica». Unibo si è dato, al pari della ricerca, un Osservatorio della didattica, che valuta e monitora i risultati degli insegnamenti. «In Italia gli atenei si stanno ponendo questo tema — sottolinea Luppi —, innovare e migliorare i risultati della didattica è un obiettivo di molti. Il nostro modello di lavoro punta a fare ricerca sulla didattica lavorando insieme ai nostri docenti, mettendo lo studente al centro».
Si esaminano casi concreti come l’esame in cui è bocciato il 70% degli studenti