Ucciso a 16 anni dal suo amico
Giuseppe Balboni era sparito da 8 giorni: il corpo trovato in un pozzo a Castello di Serravalle
Non era sparito, era stato ucciso. Giuseppe Balboni, di soli 16 anni, mancava da casa dal 17 settembre. Il suo corpo è stato trovato ieri mattina in un pozzo a Castello di Serravalle. Di fronte ai carabinieri, il suo assassino ha confessato, un epilogo che aggiunge tragedia a tragedia: «L’ho ucciso con la pistola di papà», è crollato in lacrime l’amico di Giuseppe, di appena 17 anni.
Carabinieri e vigili del fuoco l’hanno cercato per giorni tra le campagne di Castello di Serravalle, nelle colline che salgono su fino a Tiola, tra i fitti boschi e i vigneti irregolari che s’arrampicano sui pendii della piccola frazione che dista appena dieci chilometri da Ciano di Zocca, dove viveva con la sua famiglia. Mentre i genitori disperati chiedevano aiuto e lanciavano appelli, Giuseppe Balboni, sedici anni appena, era già morto. Ucciso con un colpo di pistola da un amico, appena un anno più di lui. Lo stesso col quale aveva appuntamento lunedì, il giorno della sua scomparsa e quello della sua tragica fine, per un chiarimento dopo una lite, l’ennesima.
L’adolescenza difficile di Giuseppe è finita in un buco nero profondo tre metri, un pozzo artigianale per la raccolta dell’acqua ricavato nel cortile di una villetta a due piani con i mattoni a vista. La casa dell’amico, dove è entrato lunedì all’ora di colazione per poi sparire nel nulla. Proprio a una quarantina di metri dalla villetta, in uno stradello in salita su per i boschi, i carabinieri sabato avevano trovato il motorino rosso di Giuseppe. Abbandonato e coperto maldestramente con delle foglie. Il primo inquietante segnale, il prologo di una storia nera che si fa fatica a comprendere. Come del resto il movente, se si può parlare di movente come per un qualunque delitto, ora che c’è una famiglia che piange il figlio e un’altra disperata che non sa spiegarsi cosa abbia trasformato il proprio in un assassino che ha preso la pistola del padre e ha sparato all’amico. Un colpo al torace, fatale.
I sospetti si sono appuntati subito sul ragazzino, non solo per il luogo in cui è stato ritrovato il cadavere, ma soprattutto per i racconti della comitiva che frequentava insieme a Giuseppe. In tanti hanno raccontato ai carabinieri dei litigi tra i due, parole grosse e promesse di vendetta. Prima questa estate, in piazza, poi di nuovo pochi giorni prima della scomparsa di Giuseppe. Il diciassettenne, descritto come un giovane dal carattere aggressivo, lo ha aspettato a casa, per quello che avrebbe dovuto essere un chiarimento. Invece ha approfittato dell’assenza dei genitori, usciti da pochi minuti per andare a lavorare, e ha sparato con quella pistola che il padre deteneva regolarmente. Poi ha trascinato il corpo e lo ha gettato nel pozzo, un budello largo poco più di un metro dal quale i vigili del fuoco delle squadre fluviali hanno estratto il corpo del povero Giuseppe. Nel pomeriggio, schiacciato dagli indizi, il diciassettenne è crollato in caserma: «Sono stato io, lui ce l’aveva con me, ho avuto paura e ho preso la pistola», ha detto in lacrime. La miccia che ha fatto da detonatore a questa tragedia assurda sembra siano stati solo banali litigi, rancori e ruggini tra adolescenti. Questo si è limitato a dire il diciassettenne ai carabinieri prima che il procuratore per i minorenni Silvia Marzocchi emettesse nei suoi confronti un decreto di fermo per omicidio volontario. Nei giorni delle ricerche anche lui, come altri ragazzini, era stato sentito ma ha detto di non vederlo da tempo. Ieri sera il diciassettenne è stato portato nel centro di prima accoglienza del Pratello, in attesa della convalida.
Ci sarà modo e tempo di ricostruire i dettagli di questo enorme dramma. Per capire, per esempio, se le voci di presunti «ricatti», di giri di piccolo spaccio, siano veri o solo un contorno alimentato dalle voci di paese. Gli investigatori hanno trovato la pistola usata per il delitto e chiuso il caso con la confessione del giovane. Restano i dettagli di una vicenda iniziata lunedì quando Giuseppe è uscito di casa molto presto col suo Phantom rosso. Il padre lo aspettava a casa, l’avrebbe dovuto accompagnare a scuola a Bologna, alle Aldini Valeriani. Ma non è mai tornato. I genitori all’inizio non si sono preoccupati, era capitato altre volte. Giovedì però hanno capito che non era la solita alzata di testa e hanno fatto denuncia. Le indagini sono partite dai tabulati e dalle audizioni degli amici. Prima di scaricarsi, il telefono di Giuseppe ha agganciato la cella di Castello di Serravalle, un’area di un paio di chilometri quadrati. I vigili del fuoco hanno setacciato la zona insieme ai carabinieri, poi sabato la prima svolta con il ritrovamento del motorino. Le ricerche si sono concentrate tra boschi e case isolate. La prima, la più vicina, è quella dove, dopo altre verifiche, hanno trovato il pozzo e il corpo senza vita di Giuseppe.
La vittima aveva litigato con il suo assassino, 17enne di Castello di Serravalle, qualche giorno prima: si dovevano incontrare per chiarire