«Quando si viveva in una Liverpool italiana»
Esce il libro di Mazzi e Spirogi sui musicisti negli anni 60 sotto le Due Torri
«Bologna è un po’ la Liverpool italiana». Parola del cantautore beat Gene Guglielmi, citato nel libro Per quelli come noi. Musica e musicisti della Bologna degli anni 60 (Crac), che nel titolo riecheggia l’esordio dei Pooh nel 1966. Nelle 240 pagine si possono ritrovare, in ordine alfabetico, soprattutto cantanti, musicisti e gruppi che hanno anche inciso dei dischi ma sui quali non è stata mai scritta una riga. Come Paolo Bacilieri, studente di Architettura a Bologna, che arrivò a pubblicare un Ep dedicato alla Russia con Nilla Pizzi dopo una tournée con la cantante in Urss, Babbo e gli Sguardi, Beba e le Racchie, tra i primi gruppi femminili in Italia, nella scuderia di Iso Ballandi, padre di Bibi. E poi i Rigidi con Donato ‘Dodi’ Battaglia, Ivano e i Discoboli, i Gemini 4, nati nelle cantine bolognesi di metà anni ’60, Gli Erranti di Silvano Silvi, i Les Copains di Giuseppe Fiuggi, alias Beppe Maniglia, i tanti gruppi ‘della montagna’ nati in Appennino e i Judas, formatisi grazie a una defezione di massa dal gruppo di Beppe Maniglia, il cui regno sarà la Sala Sirenella. Gli autori del volume, il giornalista musicale bolognese Lucio Mazzi e il musicista Moreno Spirogi Lambertini, frontman de Gli Avvoltoi, non hanno dimenticato i nomi più noti, Morandi, Dalla, Guccini, i Pooh, ma in un anno di ricerche hanno scandagliato, in particolare, cantanti, gruppi beat e orchestre di cui si rischiava di perdere memoria. «Non ci andava - dicono si perdesse il ricordo di tanti bolognesi che hanno suonato e cantato, che hanno raccolto applausi, che hanno convinto la gente a uscire di casa la sera, pagare un biglietto e mettersi sotto un palco per ascoltarli o per ballare alla loro musica. Per questo abbiamo speso mesi in ricerche e interviste, cercando di scavare in un passato che tanti musicisti di allora pensavano di aver definitivamente sepolto e che noi li abbiamo costretti a rivangare». Negli anni 60, però, a Bologna non c’era solo il beat, ma anche il jazz, le canzoni dialettali e la filuzzi, ricordate nelle sezioni finali di un libro che non ha pretese di esaurire la storia musicale di Bologna, quanto piuttosto di tenerla viva. «Non state a guardare - concludono Mazzi e Spirogi - al nome sbagliato o a quello che manca, alla data che non vi torna o al disco che per voi è uscito un anno prima o un anno dopo. Andate oltre e cercate di vedere, o ricordare, se c’eravate, com’era Bologna 50 anni fa e che aria vi si respirasse».