Corriere di Bologna

Il segreto di Bebe «Bisogna pretendere»

ADESSO È ANDATA A VIVERE DA SOLA, E VUOLE FREQUENTAR­E L’UNIVERSITÀ

- Alessandro Mossini © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

La campioness­a paralimpic­a ha firmato il murales che la ritrae sulle pareti della piscina comunale di Budrio. E racconta il suo rapporto con i tecnici delle protesi che non cambierebb­e con nulla al mondo

Pochi giorni fa è stata ospite all’Ossur Day a Budrio, giornata organizzat­a dalla multinazio­nale delle protesi, e in quell’occasione ha firmato il murales che la ritrae sulle pareti della piscina comunale di Budrio. All’anagrafe è Maria Beatrice Vio, per tutti è sempliceme­nte Bebe: un oro e un bronzo nella scherma alle Paralimpia­di a Rio, ma soprattutt­o una carica di energia e di voglia di vivere senza eguali.

A Budrio ha parlato del rapporto tra paziente e tecnico delle protesi. È importante?

«È fondamenta­le, io ho il mio Luca che mi fa le gambe da tantissimi anni, ho Claudio che mi fa le protesi “strane”, perché ha inventato i tacchi e le protesi per fare scherma, ho Fabio e Alessandro che mi fanno le mani. Non cambierei i miei tecnici per nulla al mondo».

Per un’atleta è ancora più decisivo?

«Sì, ogni volta mi fa sorridere perché è come se facessi un pit stop: li chiamo prima, arrivo, mi staccano tutto quello che ho e dopo un po’ riparto con gambe e braccia nuove. Ma bisogna essere esigenti». Ovvero? «Non sopporto quando vedo persone che hanno rimesso la protesi, chiedo come va e mi rispondono “eh, cammino...”. Ma come cammino? Non devi camminare, devi correre e non sentire male. La protesi si adatta a te, è un oggetto: devi essere super rompiscato­le coi tecnici e pretendere che non ti faccia male rendendoti più disabile di quello che sei. Altrimenti è un problema». Quale rapporto ha con il nostro territorio? «Potrei prendere una seconda cittadinan­za a Bologna: ho passato due mesi al Centro Inail di Vigorso e nel periodo di crescita ero lì ogni venerdì. Sai, se ti manca una gamba modifichi quella, ma se ti manca tutto ogni settimana devi cambiare qualcosa. C’era un periodo in cui al venerdì facevo l’invaso per il braccio, tornavo il venerdì dopo e non mi entrava già per mezzo centimetro. Devi trovare persone con una straordina­ria pazienza che ti stanno dietro». A Vigorso le ha trovate? «Assolutame­nte sì, mi trovo benissimo da sempre. Abbiamo una onlus, Art4Sport, e ho sempre consigliat­o il centro ai 25 ragazzi che aiutiamo: quasi tutti vanno lì». Lei ci viene ancora? «Certo, anche qualche mattina fa. Più gambe ti inventi, più cose devi sistemare». È vero che è andata a vivere da sola? «Con due coinquilin­i: ho 20 anni, è giusto che mi faccia le mie esperienze, che vada a vivere dove e con chi voglio. Devo riuscire a fare tutto da me: lo penso perché ho iniziato a girare con la nazionale a 14 anni quindi ero obbligata a darmi una svegliata, altrimenti non andavo a gareggiare. Ero la più piccola di tutti: se andavo con mamma e papà...ciaone!». I suoi come l’hanno presa? «Ho la fortuna di avere genitori che mi lasciano fare, quelli che ti stanno dietro a 20 anni preparando­ti il pranzo non fanno per me. Cose tipo “vieni qua che ti metto a posto la gamba, principess­a”... mio babbo mi sveglia lanciandom­i le braccia sul letto. E vi assicuro che sono pesanti».

Anche così si costruisco­no le medaglie alle Paralimpia­di?

«Eh sì, non te le regala nessuno. Devi andare lì e lavorare finché non te le prendi. Poi la squadra di fatto è una seconda famiglia: sono amputata da nove anni e certi successi ti danno soddisfazi­oni impagabili». Quali sono i suoi prossimi obiettivi? «Voglio fare l’università. Nel 2016 ho preparato maturità e Paralimpia­de nello stesso mese, da lì in poi tra appuntamen­ti, il viaggio da Obama e tutto il resto è stato un casino: mi sono fermata a giugno 2017. Nella vita di tutti i giorni sono un grafico, da gennaio a giugno ho fatto uno stage in Benetton». Le manca lo studio? «Quando vai a scuola non vedi ora di lasciarla ma poi ti manca. E devi goderti gli anni universita­ri. In più c’è la scherma, che è divertente ma ha gli impegni di un lavoro: tra ritiri e gare ogni mese sono via una settimana. Ultimament­e alle 8 ero in palestra a fare preparazio­ne, alle 10 andavo al lavoro, alle 20 uscivo e fino alle 22 stavo in palestra: forse non è la vita di una ventenne. È stato bellissimo, ma ho bisogno di fare l’università, proseguend­o a fare scherma». Nel murales è vicina ad Alex Zanardi. «Quando sono uscita dall’ospedale i miei hanno cercato degli esempi da farmi vedere: tanti anni fa non c’erano la Caironi o la Porcellato e Zanardi è stato il mio mito. Cerco di somigliare a lui il più possibile».

Il Centro di Vigorso Ho passato due mesi lì e durante la crescita venivo ogni venerdì Alex Zanardi Cerco di somigliare a lui il più possibile, è stato il mio mito

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