Apt, pranzi finti I pm: «Grassi sia processato»
All’ex capo ufficio stampa contestate spese per 10.000 euro
La Procura di Bologna ha chiesto il rinvio a giudizio per Fabio Grassi, ex capo ufficio stampa di Apt Servizi, l’azienda di promozione turistica della Regione.
Grassi è accusato di truffa, falso e peculato per essersi fatto rimborsare dall’azienda pranzi e cene di lavoro con giornalisti e personaggi che, in realtà, non hanno mai partecipato a quegli eventi. Gli vengono contestati circa 10.000 euro di spese irregolari.
Nuova occupazione Grassi lavora al Centro ricerche marine legato ad Apt e finanziato sempre dalla Regione
Dopo le accuse, le polemiche, la sospensione per sei mesi dall’Apt, l’azienda di promozione turistica della Regione, e il recente distaccamento (a parità di stipendio) presso la Fondazione centro ricerche marine, per l’ex capo ufficio stampa di Apt Fabio Grassi è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio, firmata dal procuratore di Bologna Giuseppe Amato e dalla pm Morena Plazzi, titolare dell’inchiesta.
Le accuse di truffa, falso e peculato sono emerse nel corso di una vicenda esplosa la scorsa estate, quando una collaboratrice del Corriere di Bologna, Anna Budini, fu convocata da Grassi negli uffici di Apt con altri due giornalisti. Preoccupato da un’interrogazione del M5S, che aveva sollevato dubbi sulla legittimità di pranzi, cene e hotel che Apt aveva pagato ai giornalisti di testate italiane e straniere, Grassi era preoccupato per un’eventuale inchiesta. Per questo aveva convocato i tre cronisti pregandoli di confermare la loro presenza a una serie di pranzi che però, in realtà, non si erano mai tenuti, pur di giustificare la richiesta di rimborsi inoltrata ad Apt.
Ne era venuto fuori un polverone e un’inchiesta della Procura che ieri è arrivata alla svolta decisiva: la richiesta di rinvio a giudizio. Le contestazioni a Grassi si riferiscono a un doppio filone di indagine. La prima tranche di accuse riguarda il periodo che va dal gennaio del 2014 all’aprile del 2016, durante il quale Grassi ha chiesto 2.300 euro di rimborsi per 22 pranzi con giornalisti che sosteneva di avere incontrato per «ragioni istituzionali». Peccato che, secondo la Procura, i giornalisti indicati da Grassi nei giustificativi non abbiano mai partecipato a quegli appuntamenti. Per questi episodi l’accusa è di falso e truffa aggravata.
Per il secondo filone d’indagine, avviato grazie alle integrazioni fornite da Apt, l’accusa è invece di peculato perché Grassi avrebbe pagato il conto dei finti appuntamenti di lavoro direttamente con la carta di credito aziendale. Insomma, l’ex capoufficio stampa si sarebbe appropriato di denaro pubblico per saldare il conto di un centinaio tra pranzi e cene, dal 2010 al 2015, per la cifra finale di 7.800 euro. Difeso dall’avvocato Filippo Cocco, Grassi si difenderà in udienza preliminare. A novembre del 2016, il gip Francesca Zavaglia aveva già disposto il sequestro di 3.981 euro nei confronti di Grassi.
Parallelamente alla vicenda giudiziaria, l’ex capoufficio stampa di Apt si è trovato alle prese con una procedura interna all’azienda conclusa nel settembre del 2016 con un verbale di conciliazione siglato con Apt che prevedeva la sospensione per sei mesi e la restituzione di 5.230 euro «in ragione di una possibile erronea rendicontazione» dei rimborsi. Lo scorso 3 maggio, però, Grassi ha nuovamente preso servizio in una Fondazione collegata ad Apt e finanziata sempre dalla Regione: Il Centro ricerche marine che ha sede a Cesenatico (la sua città), dove si occupa dei rapporti con la stampa. Lo stipendio e l’inquadramento sono rimasti quelli che aveva in Apt prima della bufera: 118.136 euro lordi all’anno.
Interpellata dai 5 Stelle su questa decisione, Apt si è giustificata dicendo di avere verificato sul versante legale la possibilità di ridurre lo stipendio e di cambiare l’inquadramento di Grassi, ma l’esito dell’indagine sarebbe stato «negativo». Una scelta che non è andata giù al gruppo dei 5 Stelle in Regione, secondo cui il licenziamento di Grassi, alla luce di quanto emerso, doveva essere un «atto dovuto».