«Allargare il campo? Lo si fa governando»
Taddei: «Guai se faremo finta che in questi mille giorni non sia successo nulla»
Filippo Taddei, responsabile Economia del Pd nazionale, cos’ha pensato quando ha visto i risultati del referendum?
«Mi ritrovo nelle parole di Renzi. Per chi, come me, ha sacrificato tempo e famiglia per portare avanti questa riforma è un momento difficile».
Che cosa non ha funzionato?
«Gli elettori hanno sempre ragione. La responsabilità è di chi aveva il dovere di spiegare l’utilità della riforma, e quindi anche mia».
È passato il messaggio sbagliato?
«La riforma avrebbe migliorato la capacità di governo del Paese, mettendo mano a una delle peggiori storture: il conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni. Non averlo comunicato in modo efficace è una responsabilità che ricade sul Pd».
Ha sbagliato Renzi a personalizzare?
«Prima o poi qualcuno avrebbe comunque fatto a Renzi la domanda più ovvia: “Se vince il No lei cosa fa?”».
È giusto che Renzi lasci palazzo Chigi dopo la sconfitta?
«Sì. La nostra generazione politica è nata con l’Ulivo. E l’Ulivo è l’affermazione del principio che le persone pagano individualmente anche responsabilità collettive più grandi di loro. Aveva cominciato a farlo Romano Prodi che ha pagato responsabilità non sue. Ecco, noi siamo figli di questa tradizione. L’esito del referendum non poteva non incidere sulle sorti del governo». E ora che cosa succederà? «Renzi si dimetterà da premier ma resterà segretario del Pd. Temo che questo creerà una situazione di stallo nel Pa- ese che ci farà perdere almeno un anno. E purtroppo un Paese che ha sofferto così tanto come il nostro non ha tempo». Chi sarà il nuovo premier? «Questa decisione la prenderà il presidente Mattarella. Lei che cosa si augura? «Un governo che cambi la legge elettorale in senso maggioritario com’è nella tradizione dell’Ulivo in modo tale da potere andare avanti».
In Emilia-Romagna e a Bologna hanno vinto i Sì. Qual è la differenza con il resto del Paese?
«Qui da noi c’è stato l’impegno di tutti: il Pd ha attivato tanti comitati, ho visto molte persone che si sono impegnate, iscritti e non, sindaci di provincia, ragazzi, studenti. E infatti anche nelle rilevazioni emerge come gli elettori del Pd siano stati compatti».
I dubbi della minoranza a Bologna non hanno eroso troppi consensi alla riforma?
«La mia percezione è che i nostri elettori e i militanti abbiano apprezzato il tentativo di cambiare le cose. Per questo credo che il risultato lasci il Pd più debole ma renda la leadership di Renzi nel partito più salda».
Il giorno dopo il Pd sembra però diviso come non mai. Si rischia la scissione?
«Io capisco la tensione agonistica, ma l’eccesso di entusiasmo dopo la vittoria del No mi è sembrato francamente fuori luogo. Nonostante tutto, non credo che ci sia il rischio di scissione».
Cosa pensa dell’iniziativa ulivista di Virginio Merola?
«Il Pd è già la continuazione dell’Ulivo. Proseguire nel solco dell’Ulivo significa fare in modo che il Pd cresca come forza riformista e di governo. Inutile porsi obbiettivi che ci distraggono dalla necessità di offrire le riforme di cui il Paese ha bisogno».
Merola vuole allargare le alleanze a sinistra?
«Sarà un mio limite ma non ho mai capito come si faccia ad allargare il campo se non con una proposta credibile di governo. Se c’è una discussione da sostenere nel Pd è questa, non altre. Prima di allargare il campo bisogna partire dai semi. Qual è il seme che vogliamo piantare? Il Pd ha espresso un buon progetto di governo, di cambiamento profondo. Non possiamo fare finta che quello di Renzi sia stato un governicchio: abbiamo approvato riforme radicali: il lavoro, la pubblica amministrazione, i diritti civili. Io mi assumo le responsabilità deli errori commessi, ma non facciamo finta che in questi mille giorni non sia successo nulla».
Prima di allargare il campo bisogna partire dai semi. Qual è il seme che vogliamo piantare?