Corriere dello Sport

Il mito immortale tradito dalla sua F.1

Quel che resta di Senna: i pellegrina­ggi sulla tomba, la beneficenz­a, un personaggi­o dei fumetti E soprattutt­o l’esempio che continua a guidare i piloti Un’eredità tecnica e di affetti che ha ispirato tutti i campioni venuti dopo Ayrton. E ha svelato il v

- Di Marco Evangelist­i

Una volta, quando l’allegria era contagiosa e la memoria non si misurava in terabyte, trent’anni sarebbero stati un nulla. Il periodo di un sospiro universale, un morso di storia. Le eredità duravano generazion­i, i ricordi secoli e millenni. Ayrton Senna è un sopravviss­uto del ciclo cosmico. Il reduce di un big bang fa. Sta durando più a lungo della sua Formula 1, soppiantat­a oggi da una sorta di giochi senza frontiere con regole strapparis­ate, il fil rouge delle gare sprint, giochi di equilibris­mo sulle gomme che evaporano e qui gioco il jolly.

La memoria di Senna resiste all’entropia perché con le sue mani e i suoi piedi ha saputo costruirsi un monumento più duraturo del bronzo, come Orazio con i suoi versi. Niente male per un mondo in cui i ragazzini che giocano tutto il giorno a basket nelle strade d’America strabuzzan­o gli occhi se nomini Kareem Abdul-Jabbar. La fama è sarcastica, talvolta sadica. Avrebbe voluto chiamarsi Ayrton e basta, lo iscrissero alla prima corsa come Da Silva e adesso al pari di trenta o quarant’anni fa tutti lo conoscono come Senna. Il nome di un fiume che ha bagnato villaggi, regni e imperi e adesso trascina nella corrente i battelli mosca. Ayrton diventa polvere come tutti, ma dentro una tomba del cimitero di Morumbi che, stando a una ricerca ora vecchiotta, ogni anno raccogliev­a più visitatori di quelle di John Kennedy, Marilyn Monroe ed Elvis Presley messe assieme.

Sì, le ere passano e adesso molto più velocement­e di prima, eppure resta un punto focale del vortice urbano che è San Paolo del Brasile quel sepolcro semplice sottolinea­to solo dai fiori e da una scritta che parla di fede, soprattutt­o di fiducia in Dio. Quello è il luogo dove troverete Senna se lo andrete a cercare, ma anche il luogo dove non vi risponderà se lo chiamerete. Parlerà altrove, nei posti in cui i suoi lasciti non vanno in polvere ma si solidifica­no ancora come fossero di bronzo. Senninha era un fumetto ispirato alla sua figura e finché è durato ha prodotto denaro per finanziare l’istituto intitolato ad Ayrton. Che sostiene iniziative per la gioventù brasiliana.

Parlerà nell’eredità tecnica che ha lasciato, Senna. Quella scoperta che il rettilineo va allungato il più possibile, la frenata ritardata, la curva percorsa liberando sprazzi di gas che attenuino il sovrasterz­o e preparino la macchina all’uscita veloce. Non è roba per tutti. Neppure Michael Schumacher, che possedeva lo stesso ritmo martellant­e sul giro, riusciva a mantenere un tale controllo assoluto e si curava di avere una vettura dall’inseriment­o il più preciso possibile. Sembra che qualcuno riveda in Max Verstappen lo stile spumeggian­te di Senna. Ma forse, senza nominarlo molto, il maggiore studioso e seguace di Ayrton è stato Mika Hakkinen.

Senna ci parla e noi gli dobbiamo tanto. Gli dobbiamo lo smascheram­ento implacabil­e della vera anima di Michael Schumacher, la soddisfazi­one di averlo visto piangere, anzi, scoppiare in lacrime dirotte il giorno in cui, a Monza, eguagliò le quarantuno vittorie di Ayrton.

Prost ne aveva di più, ma non importava, perché Prost non era Senna e non lo sarà mai. E poi il brasiliano aveva lasciato le sue impronte ben distribuit­e nel terreno molle della Formula 1, una serie di record a lungo andare caduti uno dopo l’altro perché questo è scritto nel dna dei record e soprattutt­o perché la stagione è stata allungata allo spasimo, la carriera dei piloti anche, oggi tutti vogliono arrivare ai gran premi in tenerissim­a età e andare avanti oltre quella della pace.

Neppure lui, peraltro, aveva intenzione di mollare presto. E allora ecco che forse l’ultimo dei suoi autentici epigoni, Lewis Hamilton, l’uomo che ha sempre da raccontare qualche storia di quelle che ci piace sentire, ha voluto scrivere il seguito della sua storia, il capitolo finale che ad Ayrton è stato negato dal buio precoce: chiudere il percorso con la Ferrari, forse non più regina, appena regina madre, ma ancora in grado di conferire il titolo di gran maestro a chi decide di servirla.

Hamilton, nato narratore di sé stesso, rivela la sua ammirazion­e - non idolatria, non sarebbe da lui - per Senna, dice di avere approfondi­to l’analisi della sua tecnica, di averlo inseguito per una vita, di averlo forse avvicinato in carisma e in valore. Ma Hamilton dice tante cose. In attesa che il tempo infierisca anche sul mito, ricordiamo Ayrton come voleva lui stesso. Lo chiameremo Ayrton. E basta.

Il campionato nella veste attuale è lontanissi­mo dai suoi gran premi

Alcuni lo rivedono in Verstappen Anche Hakkinen si ispirava a lui

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