Corriere dello Sport

L’ora di Lucio «Lo scudetto ripaga tutto»

Spalletti: «Ho sofferto tanto e viaggiato sempre in autostop... Ora aspettiamo ancora un po’»

- Di Antonio Giordano

Se l’ha scritta uno sceneggiat­ore, questa storia tenera e romantica, deve essere stato diabolicam­ente teatrale: perché lo scudetto, che pure ormai galleggiav­a nell’aria, il Napoli se l’è preso dove sognava, in casa della eterna rivale, la «nemica» di un tempo infinito di un calcio che sfocia altrove. Cinque anni dopo dallo 0-1 del 2018 come annuncia il Napoli, ricordano quel dolore ora sopito, anzi demolito, ripensando al 22 aprile e al gol di Koulibaly, all'albergo di Firenze: «Stesso risultato e minuto con la Juve ma adesso sarà un finale diverso» Se l’ha scritta un romanziere, questa favola ha tratti anche epici, perché 78 punti a sette giornate dalla fine segnano un’epoca, un dominio assoluto, stracciano le statistich­e in mille fogli, e lasciano che diventino coriandoli sulla festa. Se l’ha immaginata Spalletti, nel suo eremo di Castel Volturno, forse non s’è spinto neanche a tanto: lasciare che tutto accadesse proprio a Torino, la casa-madre degli scudetti, in una notte ch’è tutta sua, di un club che De Laurentiis ha coraggiosa­mente costretto nel rivoluzion­arsi, di un manager, Giuntoli, che ha saputo come un rabdomante scovare talenti dove gli altri non sono stati in grado di guardare.

Ma chiunque sia stato, Napoli si è persa in se stessa e i 2.092 che sono arrivati a

Torino si stanno asciugando le lacrime: perché sono trascorsi 33 anni dall’ultima volta e stavolta lo scudetto ha bisogno solo dell’ago e del filo - ma seriamente - grazie a quel capolavoro che sublima capacità organizzat­ive e padronanza tecnica e che ora rappresent­a la sintesi di una gioia travolgent­e che dallo spogliatoi­o viaggia nel Mondo attraverso i social. «La capolista se ne va». E’ un post o forse è un poster, è l’immagine di una squadra rapita da se stessa, dal suo calcio a tratti meraviglio­samente infernale che Spalletti le ha trasmesso con visioni che appartengo­no al suo vissuto, denso di bellezza: «Ai calciatori ho detto cose normali, ho fatto i compliment­i, e se avete sentito un boato dall’esterno, ci sta, i ragazzi hanno fatto festa per il gol nel finale. Dobbiamo ancora aspettare per stappare le bottiglie». Quel senso di amarezza per l’eliminazio­ne in Champions League era rimasto, era diventato il pericolo psicologic­o per affrontare questa partita diversa dalle altre, e Spalletti non nasconde che la delusione c’era da martedì, cancellata vincendo a Torino, dinnanzi alla Juventus: «Dopo l'uscita dalla Champions, ti vengono strani pensieri e forse è anche normale. Ma nel secondo tempo, ci siamo sciolti e siamo stati più pericolosi. Ma abbiamo reagito, siamo stati tutti insieme e tutti bravi e ora la felicità è doppia. Abbiamo meritato questa classifica». In questa notte, c’è una carriera che Spalletti ha attraversa­to con l’eleganza del suo calcio e che adesso viene premiata in maniera sontuosa: «E' chiaro che si guarda un po' indietro, non ho mai viaggiato in prima classe. Essere nelle condizioni di poter vincere lo scudetto ti ripaga per tutti i sacrifici fatti. Io sono partito da una situazione normale. Io sono stato preso per il culo perché avevo le scarpe da gioco in panchina; da bambino non avevo i soldi per comprare quelle scarpe, ecco perché qualche volta le ho messe. A volte si fa una strada un po' difficile, mentre gli altri partono da livelli differenti. Anche altri se lo sono guadagnato nella carriera da allenatore».

Khvicha Kvaratskhe­lia (22 anni) supera in velocità il colombiano Juan Cuadrado (34)

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