L’ora di Lucio «Lo scudetto ripaga tutto»
Spalletti: «Ho sofferto tanto e viaggiato sempre in autostop... Ora aspettiamo ancora un po’»
Se l’ha scritta uno sceneggiatore, questa storia tenera e romantica, deve essere stato diabolicamente teatrale: perché lo scudetto, che pure ormai galleggiava nell’aria, il Napoli se l’è preso dove sognava, in casa della eterna rivale, la «nemica» di un tempo infinito di un calcio che sfocia altrove. Cinque anni dopo dallo 0-1 del 2018 come annuncia il Napoli, ricordano quel dolore ora sopito, anzi demolito, ripensando al 22 aprile e al gol di Koulibaly, all'albergo di Firenze: «Stesso risultato e minuto con la Juve ma adesso sarà un finale diverso» Se l’ha scritta un romanziere, questa favola ha tratti anche epici, perché 78 punti a sette giornate dalla fine segnano un’epoca, un dominio assoluto, stracciano le statistiche in mille fogli, e lasciano che diventino coriandoli sulla festa. Se l’ha immaginata Spalletti, nel suo eremo di Castel Volturno, forse non s’è spinto neanche a tanto: lasciare che tutto accadesse proprio a Torino, la casa-madre degli scudetti, in una notte ch’è tutta sua, di un club che De Laurentiis ha coraggiosamente costretto nel rivoluzionarsi, di un manager, Giuntoli, che ha saputo come un rabdomante scovare talenti dove gli altri non sono stati in grado di guardare.
Ma chiunque sia stato, Napoli si è persa in se stessa e i 2.092 che sono arrivati a
Torino si stanno asciugando le lacrime: perché sono trascorsi 33 anni dall’ultima volta e stavolta lo scudetto ha bisogno solo dell’ago e del filo - ma seriamente - grazie a quel capolavoro che sublima capacità organizzative e padronanza tecnica e che ora rappresenta la sintesi di una gioia travolgente che dallo spogliatoio viaggia nel Mondo attraverso i social. «La capolista se ne va». E’ un post o forse è un poster, è l’immagine di una squadra rapita da se stessa, dal suo calcio a tratti meravigliosamente infernale che Spalletti le ha trasmesso con visioni che appartengono al suo vissuto, denso di bellezza: «Ai calciatori ho detto cose normali, ho fatto i complimenti, e se avete sentito un boato dall’esterno, ci sta, i ragazzi hanno fatto festa per il gol nel finale. Dobbiamo ancora aspettare per stappare le bottiglie». Quel senso di amarezza per l’eliminazione in Champions League era rimasto, era diventato il pericolo psicologico per affrontare questa partita diversa dalle altre, e Spalletti non nasconde che la delusione c’era da martedì, cancellata vincendo a Torino, dinnanzi alla Juventus: «Dopo l'uscita dalla Champions, ti vengono strani pensieri e forse è anche normale. Ma nel secondo tempo, ci siamo sciolti e siamo stati più pericolosi. Ma abbiamo reagito, siamo stati tutti insieme e tutti bravi e ora la felicità è doppia. Abbiamo meritato questa classifica». In questa notte, c’è una carriera che Spalletti ha attraversato con l’eleganza del suo calcio e che adesso viene premiata in maniera sontuosa: «E' chiaro che si guarda un po' indietro, non ho mai viaggiato in prima classe. Essere nelle condizioni di poter vincere lo scudetto ti ripaga per tutti i sacrifici fatti. Io sono partito da una situazione normale. Io sono stato preso per il culo perché avevo le scarpe da gioco in panchina; da bambino non avevo i soldi per comprare quelle scarpe, ecco perché qualche volta le ho messe. A volte si fa una strada un po' difficile, mentre gli altri partono da livelli differenti. Anche altri se lo sono guadagnato nella carriera da allenatore».
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