Fabbri non bene peggio Aureliano 1-0, ok annullare
Raspadori trova il colpo vincente negli ultimi minuti E adesso lo scudetto può materializzarsi domenica
Alle 22.37 del 23 aprile del 2023 il Napoli si è ripreso dopo trentatré anni uno scudetto che aveva già vinto e la matematica adesso ha un senso o anche no, e ormai serve un'altra giornata perché la festa dilaghi dopo essere stata allestita. Alle 22.37 il Napoli ha ribadito ciò che per un anno intero ha detto vincendo a Roma, in casa della Lazio e della Roma, a San Siro con il Milan e a Torino, stavolta con la Juventus, nella notte che ha la magìa di una rivoluzione secca, che non ammette contraddittori: a quell’ora, nelle tenebre di una notte che Napoli ha sognato, Giacomo Raspadori ha semplicemente sottoscritto che non c’è mai stato dominio più netto, più limpido, più abbagliante.
Manca un attimo, sarà una partita, la prossima, o chissà quante, ma ora che s’è sfilato via pure l’ultimo grammo di prudenza e di scaramanzia, Napoli s’è ripresa ciò che il destino le aveva tolto nel 2018, era il 22 aprile quella volta, quando vincendo a Torino pensava di avercela fatta: ha dovuto attendere cinque anni ancora, ma adesso è semplicemente un dettaglio, un velo da strappare definitivamente.
Otto mesi così, il Napoli non poteva che celebrarli nella madre di tutte le partite, strappata via con una dimostrazione plastica di intelligenza, dentro un calcio autorevole e anche autoritario, ricco di materia grigia: l’ha vinta all’ultimo assalto, dopo aver tenuto la Juventus nella sua metà campo per il secondo tempo, averle fatto paura ripetutamente con Osimhen, poi graffiata definitivamente sulla giocata Zielinski-Elmas, un palleggio lungo e ostinato per spostare Madame, arrivare a Raspadori, alla sua rasoiata alla giugulare.
Prima, ne sono successe tante, l’ha dominata il Var, capace di non vedere un gancio di Gatti (32' pt) a Kvara, poi di accorgersi (38' st) che il gol dell’impressionate Di Maria (cinquanta metri palla al piede) era stato ispirato da un fallo netto di Milik su Lobotka, incredibilmente ignorato da Fabbri; e in mezzo a tutto ciò, un calcio dei tempi moderni non ancora perfetto, la Juve è durata un po’, un tempo, poi si è sciolta, sarà stato per colpa dell’acido lattico di Lisbona o semmai per l’evoluzione del Napoli. Che ha sofferto poco, una respinta di Meret (10') su Cuadrado, una percussione di Rabiot (27'), e poi rare illuminazioni, perché il Napoli si è preso il campo, ha strappato Lobotka dalla prigionia di Miretti, è andato su Kvara a destra, soprattutto su Osimhen che dal 25' al 26' ha fatto impallidire Szczesny (fuori di un niente il destro, centrale la capocciata).
Prima, per un po’, Allegri ha cercato di governare il campo e gli spazi, ha pressato alto, ha costretto il Napoli a soffrire, l'ha fatto vacillare (17') sull'irruzione di Chiesa in area strapazzata da Di Lorenzo, un istante dopo che Rugani, provvidenziale, aveva frenato Osimhen; poi ne ha subito la leggerezza, la padronanza nelle uscite, l’ispirazione e anche la freschezza che ha spaccato la serata, l’ha indirizzata, nonostante un equilibrio di facciata.
Ma queste sono le minuzie di una notte speciale, perché le dinamiche tattiche restano vuote: Juventus-Napoli è in realtà la sintesi di una stagione intera che Spalletti ha sempre avuto in pugno, sin dalla sosta di novembre, quando già aveva spalancato un abisso tra sé e gli altri, poi nella cavalcata prodigiosa di un 2023 nel quale ha strapazzato via chiunque e che anestetizza l’amarezza per la notte di Champions. Ma, trentatré anni dopo, la Storia è riscritta: alle 22.37 del 23 aprile o magari sabato, con la Salernitana, e domenica, a guardare Inter-Lazio. Quando la felicità diventerà infinita.
L’impresa che chiude il cerchio in casa della Juve (rimasta terza) Sabato Spalletti dovrà superare la Salernitana, poi pranzare guardando Inter e Lazio il giorno dopo, l’ultimo del mese
NAPOLI, TRE