La seconda vita di mister Murray
Dal rischio di ritiro alla protesi all’anca. «Sono felice. Il segreto? A letto presto con i miei figli»
Quattro anni fa, proprio qui a Melbourne, Andy Murray tenne una conferenza stampa in cui tra un singhiozzo e l'altro annunciò che quello che stava per prendere il via sarebbe potuto essere il suo ultimo Australian Open della carriera: «Sì, è una possibilità concreta», ammise il britannico, interrompendo il botta e risposta con i giornalisti presenti per poi uscire dalla sala, ricomporsi e ripresentarsi pochi minuti dopo per spiegarne i motivi.
Troppi i venti mesi trascorsi in preda al dolore di un'anca usurata dagli anni e dai chilometri percorsi rincorrendo quei famelici big3 (Federer, Nadal, Djokovic). Le aveva provate tutte, Andy. L'ultima spiaggia, l'impianto di una protesi al posto dell'articolazione offesa, avrebbe forse lui garantito un ritorno a una vita normale. Sul prosieguo della sua carriera sportiva nessuno avrebbe scommesso. Nessuno tranne lui.
Da vero britannico quale egli è, sir. Andy Murray da quel giorno ha fatto del motto di re Giorgio V - "Never give up, never despair" ("Mai arrendersi, mai disperare", ndr), pronunciato nel pieno del secondo conflitto mondiale - il suo mantra fino a divenirne la perfetta incarnazione. Si dimenticò di titoli e ranking per concentrarsi invece su sensazioni e progressi, piccoli passi da cui far ripartire una seconda carriera che, seppur diversa dai fasti del passato e infarcita di sconfitte, non era ancora disposto a salutare.
«Sono davvero contento e fiero di me stesso. Negli ultimi mesi ho lavorato sodo con
il mio team, che è qui con me, per provare a darmi la chance di giocare in stadi come questo, partite come questa, contro giocatori come Matteo. Quel lavoro ha dato i suoi frutti», ha dichiarato a fine match tra gli applausi del pubblico.
E ancor più grandi, seppur virtuali, sono stati gli applausi lui tributati via social: avversari, addetti ai lavori, leggende di ieri e di oggi, persino sua mamma Judy, spericolata (c'è da capirla) nel suo tweet celebrativo.
Si sa, il talento non è riproducibile, e tra i big4 Andy Murray era forse quello ad esserne stato meno beneficiato. L'ispirazione è però contagiosa, e sa da un lato Federer ha saputo restituirci per anni in un gesto un significato di bellezza che non avrebbe potuto esser detto altrimenti, la fatica e il dolore sono stati il modo in cui Andy Murray, spremendolo, è riuscito a dare a quel gesto consistenza, umanità, immedesimazione.
Che la fortuna sia tornata ad affacciarsi dalle sue parti proprio nei momenti cruciali del match, è dettaglio che non è certo lui sfuggito: «Sul match point ha tirato (Berrettini, ndr) un brutto colpo, e in quel frangente sono stato davvero fortunato», ha poi riconosciuto a caldo. Ma resta un dettaglio, e non è certo a quello che si deve la vittoria di ieri: «Mi sono allenato tre settimane in Florida con l'obiettivo di preparare questo torneo. Sveglia presto, tre ore in campo al mattino e palestra nel pomeriggio».
Aveva scelto con cura i tornei dove presentarsi, si era affidato per la terza volta a Ivan Lendl così come accaduto nel biennio 2012-2014 e tra il 2016 e il 2017, nel tentativo di trovare il giusto equilibrio tra l'età, i dolori e una carriera che sentiva avere ancora qualcosa da dargli. E a chi ieri andava chiedendogli come facesse a sostenere questa sua nuova routine, ecco svelatone il segreto: «Da quando sono nati i miei figli ho imparato ad andare a letto presto».
«Sul match point Matteo ha tirato un brutto colpo: sono stato fortunato»