Quella lezione di Koulibaly
Sono sicuramente ricchi, belli e (quasi tutti famosi): ma sono uomini, con le proprie fragilità, in quel fisico bestiale che fende l’aria e lascia dietro di sé una scia di normalità. Il mal d’Africa s’avverte nella pelle, s’intrufola nel cervello, rovista nella carne e corrode le coscienze, lasciandole dondolare alla periferia di se stessi, adagiandole nella risacca d’un calcio che, fatalmente, per un po’ esce dai pensieri di chi ne è stato rapito, prima di ritrovarsi sedotto e infine abbandonato da quell’universo ch’è uguale agli altri, nelle emozioni, e che però consuma «diversamente». La Coppa d’Africa è una tempesta (in)controllabile che i padroni del football vorrebbero ricollocare in inverno - «plasticamente» tra gennaio e febbraio - nel cuore di stagioni già stritolate da calendari opprimenti, densi di partite che riempiranno gli autunni e le primavere, tra le suadenti musiche della Champions e il tintinnio del danaro che riempia il vuoto delle notti. E così, proprio nel bel mezzo del cammin di questa vita, tra una sfida e l’altra di un campionato soffocante che deve inseguire date sommerse, un esercito di talenti, si metterà (giustamente) in marcia per la Patria, avvertirà il richiamo delle proprie origini, sentirà le voci che lo spingeranno a concedere tutto se stesso per un mese intero, spostandosi da un «frullatore» all’altro, rivedendo i propri stili di vita, di alimentazione, di allenamento, catapultandosi quasi in un’altra esistenza, precisamente parallela a quella già attraversata. La coppa d’Africa più recente - e si è giocata nell’estate scorsa e s’è chiusa il 19 luglio con il successo dell’Algeria (di Mahrez) sul Senegal (di Mané) - è il tormento del corpo e dell’anima di Kalidou Koulibaly, uscito stravolto da quei trenta giorni in apnea, ad inseguire il sogno, e rimasto poi scioccato non dalla sconfitta in sé ma da una fatica immane, che l’ha costretto ad inseguire l’ombra dei propri ricordi, della sua figura prima dominante e poi invece appassitasi, non avendo avuto per sé che pochi giorni di vacanza e neanche uno di ritiro. Ma sarà sempre peggio, e varrà per i Mané e per i Salah, per gli Ziyech ed i Mahrez, per chi ad un certo punto scoprirà di aver investito decine e decine (centinaia?) di milioni di euro che un venticello caldo su muscoli sgualciti finirà per trascinare tra le dune. E il calcio rischierà di trasformarsi in un Safari.