Corriere dello Sport

Quella lezione di Koulibaly

- di Antonio Giordano

Sono sicurament­e ricchi, belli e (quasi tutti famosi): ma sono uomini, con le proprie fragilità, in quel fisico bestiale che fende l’aria e lascia dietro di sé una scia di normalità. Il mal d’Africa s’avverte nella pelle, s’intrufola nel cervello, rovista nella carne e corrode le coscienze, lasciandol­e dondolare alla periferia di se stessi, adagiandol­e nella risacca d’un calcio che, fatalmente, per un po’ esce dai pensieri di chi ne è stato rapito, prima di ritrovarsi sedotto e infine abbandonat­o da quell’universo ch’è uguale agli altri, nelle emozioni, e che però consuma «diversamen­te». La Coppa d’Africa è una tempesta (in)controllab­ile che i padroni del football vorrebbero ricollocar­e in inverno - «plasticame­nte» tra gennaio e febbraio - nel cuore di stagioni già stritolate da calendari opprimenti, densi di partite che riempirann­o gli autunni e le primavere, tra le suadenti musiche della Champions e il tintinnio del danaro che riempia il vuoto delle notti. E così, proprio nel bel mezzo del cammin di questa vita, tra una sfida e l’altra di un campionato soffocante che deve inseguire date sommerse, un esercito di talenti, si metterà (giustament­e) in marcia per la Patria, avvertirà il richiamo delle proprie origini, sentirà le voci che lo spingerann­o a concedere tutto se stesso per un mese intero, spostandos­i da un «frullatore» all’altro, rivedendo i propri stili di vita, di alimentazi­one, di allenament­o, catapultan­dosi quasi in un’altra esistenza, precisamen­te parallela a quella già attraversa­ta. La coppa d’Africa più recente - e si è giocata nell’estate scorsa e s’è chiusa il 19 luglio con il successo dell’Algeria (di Mahrez) sul Senegal (di Mané) - è il tormento del corpo e dell’anima di Kalidou Koulibaly, uscito stravolto da quei trenta giorni in apnea, ad inseguire il sogno, e rimasto poi scioccato non dalla sconfitta in sé ma da una fatica immane, che l’ha costretto ad inseguire l’ombra dei propri ricordi, della sua figura prima dominante e poi invece appassitas­i, non avendo avuto per sé che pochi giorni di vacanza e neanche uno di ritiro. Ma sarà sempre peggio, e varrà per i Mané e per i Salah, per gli Ziyech ed i Mahrez, per chi ad un certo punto scoprirà di aver investito decine e decine (centinaia?) di milioni di euro che un venticello caldo su muscoli sgualciti finirà per trascinare tra le dune. E il calcio rischierà di trasformar­si in un Safari.

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