Corriere dello Sport

COMPLESSO DI COPPA

Riprendiam­oci l’Europa

- di Angelo Carotenuto

Dieci partite prendono le misure al calcio italiano. Comincia l’Atalanta stasera, terminano Juventus e Napoli il 10 marzo, quando Inter e Roma potrebbero nel frattempo essere già alle prese con il turno successivo. Tre italiane agli ottavi di Champions mancavano da otto anni. È già un primo segnale di emancipazi­one dall’età del poco. Arriva nell’anno in cui la Serie A si trova a metà febbraio con un finale ancora aperto. Un’anomalia rispetto al passato recente. Come in Germania.

Dieci partite prendono le misure al calcio italiano. Comincia l’Atalanta stasera, terminano Juventus e Napoli il 10 marzo, quando Inter e Roma potrebbero nel frattempo essere già alle prese con il turno successivo. Tre italiane agli ottavi di Champions mancavano da otto anni. È già un primo segnale di emancipazi­one dall’età del poco. Arriva nell’anno in cui la Serie A si trova a metà febbraio con un finale ancora aperto. Un’anomalia rispetto al passato recente. Come in Germania. Il campionato si guida con 9 punti in meno rispetto a un anno fa. Il passo lento della Juventus è uno degli elementi che rende contendibi­le lo scudetto. L’altro è nel +18 della Lazio. Entrambi i fattori hanno a che fare con l’Europa. L’intermitte­nza della Juventus di Sarri può avere una spiegazion­e nella incapacità di darsi nuovi stimoli per un obiettivo vecchio, avendo in testa

L’ultima vittoria

L’Italia non vince dal 2010: l’Inter di Mourinho al Bernabeu batte il Bayern, è Triplete

l’altro che sfugge da 24 anni. Simone Inzaghi invece ha come scelto silenziosa­mente di strappare un copione per non avere troppi ruoli. Ha preso la strada dell’uscita senza rimpianti per non trovarsi a marzo con i suoi 13 titolari esausti. In mezzo ci sono dieci partite che devono darci delle risposte.

Molto si è detto a dicembre sul fatto che i 16 club qualificat­i per gli ottavi di Champions appartengo­no tutti all’élite europea, ai cinque principali campionati. Mancano i portoghesi, gli olandesi, tutti gli altri. Il risultato è stato letto come un effetto del potere economico. Quasi una Superlega anticipata. In realtà non sono i 16 club più ricchi d’Europa a essersi presi gli ottavi. Mancano l’Arsenal, il Siviglia, il Manchester United, la Roma e il Porto. Nessuna arrivata alle fasi a gironi. Tra quelle che hanno un fatturato incongruo con il punto in cui si trovano c’è l’Atalanta.

L’ATALANTA. L’Atalanta gioca la più misteriosa delle partite. Quando si è tenuto il sorteggio sessantaqu­attro giorni fa, esultarono in due, reciprocam­ente felici per essersi pescate. Una delle due si sbaglia. Possibile che sia il Valencia, nel frattempo diventato più consapevol­e di che cosa sia davvero la squadra di Gasperini. Una band che ci piace dire europea per elettricit­à, intensità e atteggiame­nto. In realtà l’Atalanta è una grande antica squadra italiana. Ha fatto fatica a imparare la grammatica della Champions. È stata risoluta nell’impegnarsi. Poteva lasciarsi sfilare fuori dal torneo per tenere energie e testa totalmente dentro il campionato. Non avrebbe trovato aule di tribunali allestite per processarl­a. Invece ha voluto mettersi a studiare una lingua nuova e l’ha imparata in fretta. Aveva il motore giusto per correre ma non conosceva la pista. Ora Gasperini è al cospetto di una sfida ulteriore. L’eliminazio­ne diretta è un altro torneo. Ha due semplici colonne filosofich­e su cui si regge. Bisogna segnare fuori casa e non bisogna prendere gol in casa. È il secondo aspetto che deve invitare l’Atalanta a un nuovo piccolo cambiament­o. Solo quattro squadre in Serie A prendono più gol in casa dell’Atalanta: il Sassuolo, il Torino, la Sampdoria e il Brescia.

L’ultima finale

L’ultima italiana in finale è stata la Juve: nel 2017 ha perso 4-1 contro il Real

Serve un altro aggiorname­nto del sistema operativo. Essere la squadra delle rimonte adesso può non bastare. Nei sedicesimi di Europa League di due anni fa contro il Borussia, non furono i due gol segnati a Dortmund a decidere l’eliminazio­ne, ma quello subito da Reus a Reggio Emilia a sette minuti dalla fine.

LA JUVENTUS. Sarri ha avuto l’avversario che si augurava, il punto è che gli manca la Juventus che s’aspettava. Arriva alla curva finale della stagione con la certezza di non averne. Non lo è neppure Ronaldo. Non da solo. Se i suoi gol sono tutto, rischiano di non essere mai abbastanza. Possono essere tanti quando ne servono tantissimi. La loro puntualità non potrà mai essere garantita. Non è mai esistito nel calcio qualcuno che ti fa iniziare una partita dall’1-0. Nemmeno Maradona. Se pure esistesse, non basterebbe. Sarri è alla Juve perché doveva aggiungere qualcosa. Non ha fatto in tempo a febbraio, non gli basteranno altri tre mesi. La sua narrazione è capovolta. Ora sembra lui il problema e le sue parole paiono alimentare l’equivoco. In realtà Sarri racconta solo le cose come stanno. Ha capito che forse non c’è più tempo per essere sarristi. Bisogna far

si bastare quel che si è. Una magnifica squadra più o meno organizzat­a che vive dei colpi dei suoi solisti. Non è pochissimo. È stato sufficient­e finora per essere in testa al campionato e la numero 2 d’Europa nel ranking stagionale dietro il Bayern. Ci sono centinaia di squadre che vorrebbero trovarsi dove si trova la Juve di Sarri.

IL NAPOLI. Qualunque altra squadra al mondo avrebbe costruito sulla vittoria di settembre contro la squadra più forte del mondo una stagione dall’autostima magica. Invece il Napoli ha cominciato a morire dal giorno dopo. Il cambio di Ancelotti ha aggiunto confusione. Non è vero come dice Carlo da Liverpool che da separati si sta bene in due. Sta bene lui, non il Napoli. Infatti Gattuso non si fida nemmeno delle vittorie. Il Napoli di Ancelotti è la quinta squadra d’Europa nel ranking stagionale. La cosa peggiore che potesse capitare tenendosi Ancelotti - dopo 4 punti su 6 presi al Liverpool - era non riuscire a migliorare in campionato ma sapere di potersela giocare con tutti, proprio tutti, in Champions. La cosa peggiore che può succedere con Gattuso è già successa: aver rinunciato anche a questa consapevol­ezza. Il Barcellona sta giocando a sua volta il campionato dell’autolesion­ismo. Sarà pure in crisi di nervi ma per dargli fastidio servirebbe il Napoli di settembre.

L’INTER E LA ROMA. Giocare di giovedì è quasi un altro sport. Torni da una trasferta all’alba del venerdì e sei già sulla soglia della partita di campionato. Il grande dilemma di Conte ora è questo. Rendere compatibil­e l’ultimo tratto della corsa scudetto, per giunta a inseguimen­to, con un respiro europeo a cui l’Inter non può rinunciare in partenza. Ha una rosa più lunga e più esperta dopo il mercato, un prossimo turno alla portata, la possibilit­à di gestire senza pensieri i due fronti almeno fino a metà marzo, per poi capire. L’Europa League può essere il laboratori­o perfetto per includere Eriksen. Scivolata al quinto posto, a -6 dalla zona Champions, alla Roma quasi converrebb­e puntare sulla via europea. Come se bastasse volere qualcosa per andare a prendersel­a. Ricomincia­mo con un’Italia che tiene in modo saldo il quarto posto nel ranking Uefa a -1.9 punti dal terzo della Germania e con +10.6 sulla Francia quinta. La proiezione sul ranking della prossima stagione vede l’Italia terza. Andiamo a vedere come va a finire.

L’Atalanta gioca la gara più misteriosa A Sarri manca la Juve che avrebbe voluto

Il Napoli dovrebbe tornare a settembre E per Inter e Roma è... un altro sport

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