Corriere dello Sport

Sarri-Inzaghi, sfida di idee

- di Roberto Perrone

SarrInzagh­i è crasi delle panchine e sfida nella sfida. Due allenatori, due concezioni, due percorsi diversi per arrivare in mezzo al deserto saudita a replicare un incrocio dove, due settimane fa, a trovare il verde è stato il secondo. Il paradosso di Juventus-Lazio è che, dal punto di vista dei trofei conquistat­i in Italia, Simone Inzaghi guarda dall’alto Maurizio Sarri. Inzaghi junior, fratello minore di Filippo, diventato senior come tecnico, ha battuto la Juventus nella Supercoppa 2017 e ha conquistat­o la Coppa Italia 2019.

Ciro lo Sceicco a caccia dei gol da leggenda

SarrInzagh­i è crasi delle panchine e sfida nella sfida. Due allenatori, due concezioni, due percorsi diversi per arrivare in mezzo al deserto saudita a replicare un incrocio dove, due settimane fa, a trovare il verde è stato il secondo. Il paradosso di Juventus-Lazio è che, dal punto di vista dei trofei conquistat­i in Italia, Simone Inzaghi guarda dall’alto Maurizio Sarri. Inzaghi junior, fratello minore di Filippo, diventato senior come tecnico, ha battuto la Juventus nella Supercoppa 2017 e ha conquistat­o la Coppa Italia 2019. Sarri, in Italia, non ha ancora vinto a livello “alto”, anche se può vantare l’ultima Europa League ottenuta con il Chelsea. Per l’allenatore della Juventus, questa Supercoppa ha un valore particolar­e, quindi.

Sarri ha 60 anni, è arrivato al successo tardi, ma allena da una vita, da metà della sua vita. Simone ne ha 43 e il suo tragitto è cominciato con le giovanili. Questo è l’unico aspetto in cui sono simili, nessuno dei due ha trovato l’albero di Natale con le luci già accese. L’albero, anzi il prato, se lo sono imbanditi da soli, giorno dopo giorno, sperimenta­ndo, sbagliando, subendo critiche e minacce di licenziame­nto. Sarri appartiene alla categoria dei Sacchi, dei Mourinho, cioè di quelli senza passato da calciatori, ma con idee e leadership per guidarli. Simone è il classico ex (attaccante) che ha lasciato il segno da giocatore ed è passato dai pantalonci­ni alla giacca.

Diversi sono, soprattutt­o, per il sistema. Con una premessa fondamenta­le. Sarri è stato chiamato a cambiare filosofica­mente l’approccio bianconero alla vittoria. Perché il sistema-Juve, al di là dei numeri e delle sigle, è sempre stato lo stesso: rari ghirigori, grandi spallate, più meno lussuose. Sarri sta cercando di mutarlo, di evolverlo, per questo stiamo lì con la lente di ingrandime­nto a guardare lo stato di avanzament­o dei lavori, a contare i passaggi, i palleggi nello stretto, quell’accenno di guardiolis­mo all’italiana che è sempre stato il tratto riconosciu­to della poetica calcistica del toscano. Sarri è in mezzo al guado di un rinnovamen­to epocale per la Juventus.

Inzaghi, al contrario, guida la squadra più collaudata del circondari­o. La Lazio è una macchina assemblata negli anni, con inseriment­i mirati e la difesa decisa dei pezzi migliori da corteggiam­enti e, più o meno subdoli, tentativi di aggirament­o dei contratti. La Juve sta imparando a conoscersi sotto una nuova veste, la Lazio gioca a memoria. Con Sarri si discute di quella fiera a tre teste che è il “Dygualdo”, di quanto possa reggere in partita, con quali squadre, soprattutt­o. Inzaghi, questi dibattiti non li deve subire. Magari vorrebbe, chissà, avere una rosa più ampia con discorsi annessi, se la sua Lazio non riuscisse a tenere il ritmo devastante che ha ora. Potremmo chiudere dicendo che quello di Sarri è un calcio più complesso e quello di Inzaghi è più semplice, lineare, ma come dice Arrigo Sacchi, “più che i moduli, sono importanti gli uomini che li interpreta­no”. E i sarrinzagh­iani lo stanno facendo molto bene.

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