Corriere dello Sport

DE LAURENTIIS «PRESIDENTE CHE STRESS!»

Dagli studi a Los Angeles con George Lucas al marketing del Napoli. E adesso il Bari «Non essere un vero tifoso mi ha aiutato, la passione per il biancoross­o è arrivata subito. Ma la C è durissima»

- Di Marco Evangelist­i

scorsa stagione ha segnato cinque gol in Serie A con la Spal e aveva voglia di inventarsi qualcosa per la sua vita come quella volta che andò di colpo a Leeds. Pazienza sì, ma non chiedete a Bari di accontenta­rsi e godere. Hanno visto nascere Cassano e Ventola, reso famoso Protti e via contando. Adesso ricomincia­no. In settimana apriranno il nuovo negozio in una delle zone illese dello stadio, poi un altro nel centro città e infine quello online. Il canale televisivo tematico è già attivo. Con i tifosi è aperto un filo diretto per la gestione delle problemati­che come la fila ai cancelli o i guai con biglietti e abbonament­i. Che non sono pochi: 7.806 quest’anno. Non c’è motivo di sentirsi giù, a parte la nostalgia del derby con il Lecce. Quello manca.

Adiciotto anni è andato a Los Angeles per studiare arti e scienze umanistich­e nella stessa università di George Lucas e Robert Zemeckis. Libri lunghi e pedalare. Poi è entrato nell’azienda di famiglia, la Filmauro, ha prodotto un bel po’ di cinema, il padre Aurelio lo ha messo a curare il marketing e il marchio del Napoli. Se lo ritrovano a Bari, dove sta simpatico a molti e comunque ha il vantaggio di partire da una posizione privilegia­ta, quella del salvatore della squadra.

Luigi De Laurentiis, com’è accaduto?

«Il sindaco Decaro ha chiamato improvvisa­mente mio padre, mio padre ha chiamato me. Un bel trenino. La città è importante e noi da un po’ cercavamo un’altra squadra da acquisire. Ai primi dell’agosto 2018 mi sono ritrovato con il lavoro che mi esplodeva tra le mani. C’era da mettere in piedi una squadra intera, in poche settimane. Per fortuna l’inizio del campionato è slittato. Allo stadio abbiamo dovuto portare gli asciugaman­i, le panchine nuove. E assicurarc­i che le docce funzionass­ero».

Perché è toccato a lei?

«Perché lavoro in azienda da quindici anni e mi sono trovato sempre in sintonia con mio padre. Da piccolo ascoltavo la gente ridere durante i film prodotti da lui e da mio nonno e ne ero orgoglioso. Marchio e merchandis­ing sono sempre stati le mie passioni. Il lato tecnico-sportivo francament­e m’interessav­a meno. In famiglia fino al 2004, quando mio padre prese il Napoli, il calcio non si guardava neppure».

Avere due squadre in famiglia ha senso?

«Certo, perché si moltiplica­no le opportunit­à di sviluppo e si può rendere più virtuosa la gestione. Il calcio è intratteni­mento, si paga il biglietto come al cinema. Non essere tifosi di calcio è stato un punto di forza. Si mantiene la testa fredda nel prendere decisioni. Fare debiti non è mai stato nella cultura della mia famiglia».

E la passione che fine fa? «Quella dopo quindici anni viene per forza. A me al Bari ne è bastato uno. Ho vissuto l’inizio difficile di questa stagione con un’intensità che nel campionato precedente non avevo mai avvertito. Sarà perché siamo stati sempre in testa. Ora è tutto un altro stress e la Serie C è molto più complicata».

Però non arriva al punto di starci male.

«Il gol di Koulibaly alla Juventus non lo dimentiche­rò mai. Saltammo dalle poltrone come se l’Italia avesse vinto il Mondiale».

Si può fare azienda con il calcio? «Un turno di Champions vale un dato economico significat­ivo all’interno di un bilancio. Una singola partita vale milioni di euro. Quindi sì, cerchiamo di non pensarci ma un pallone dentro o fuori sposta parecchio».

Il Bari ha una road map per la Serie A?

«Diciamo un percorso che ci auguriamo sia da ricordare. Stiamo costruendo e il Bari è un brand. C’è l’immagine e c’è il successo sportivo, ma anche i tifosi chiedono che il club abbia la prima oltre che il secondo. Intanto creiamo valore sul territorio, con le academy che raccolgono 2.400 bambini, con 22 scuole calcio affiliate. Stiamo migliorand­o tutte le aree della società, pian piano rimetterem­o in sesto lo stadio insieme con il Comune. E il Bari apparirà come deve apparire».

«Per me immagine e successo sportivo della squadra devono andare di pari passo, stiamo migliorand­o tutte le aree della società»

E qualche sinergia con il cinema? «Al Napoli lo abbiamo fatto, con gli attori di Gomorra, con The young Pope. La chiave è la creatività. Con il Bari andremo a recuperare celebrità e le leggende rimaste nel cuore dei tifosi. La Formula 1 a Montecarlo diventa una specie di notte degli Oscar. Nel calcio siamo un po’ indietro, però miglioriam­o».

«Abbiamo in mente qui un percorso che speriamo sarà ricordato a lungo Intanto pensiamo a recuperare gli eroi nel cuore dei tifosi»

La sua squadra si chiama Bari, l’anima è qui, ma siamo sicuri che cuore e muscoli non siano a Napoli?

«Allora se una grande azienda ne compra una più piccola sostituisc­e cuore e muscoli? Magari si potesse. Invece ciò che viene trasferito è l’esperienza. Principi che hanno funzionato applicati su una nuova piazza. Non può che essere un progresso, specialmen­te se la nuova piazza è bella e reattiva come Bari».

«Il rapporto con il Napoli?

A Bari arriva il carico dell’esperienza che abbiamo maturato in serie A. E questa è una piazza reattiva»

E De Laurentiis padre interviene? «Non ce ne sarebbe stato neppure motivo, visti i risultati dei primi mesi. Quest’anno sarà più dura. E’ stata una sofferenza per lui dover esonerare l’allenatore. Di sicuro ci confrontia­mo. Siamo abituati a lavorare in coppia. Luigi e Aurelio De Laurentiis presentano».

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Luigi De Laurentiis 40 anni

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