Corriere dell'Alto Adige

La lucida follia

Otto storie vere di donne trentine Il libro che racconta vita e dolore di ex pazienti, operatrici e parenti «Emarginate, nascoste e ferite»

- di Silvia Vernaccini

Otto donne, otto storie. Cosa significa follia? Ida, Valentina, Laura, Antonia: un sottile filo collega le vite di chi ha affrontato il disagio psichico, termine che spesso fa paura e porta a emarginare. Lo raccontano ex pazienti dell’Ospedale Psichiatri­co di Pergine Valsugana, ma anche operatori e parenti, nel libro «Siamo matte,

se vi pare» (Erickson, 72 pagine, 12 euro), di Jacopo Tomasi e Katia Dell’Eva. «La malattia mentale ti trasforma, ti fa sembrare un’altra persona, ti azzera le risorse e rende il futuro un miraggio», scrivono gli autori. Entrambi sono giornalist­i sensibili al tema: Katia Dell’Eva rivolge il suo interesse alla psichiatri­a tramite interviste che raccolgono vissuti ed esperienze, mentre Jacopo Tomasi ha firmato con lo psichiatra Renzo De Stefani «Psichiatri­a mia bella» e «Le Parole Ritrovate» e curato la mostra reportage «Dove sono finiti i sogni di Basaglia?». In questo libro otto donne, lontane e diverse nel tempo e nello spazio, si raccontano. «Ogni capitolo è una storia a sé ma c’è un unico filo che li collega. È un libro che aiuta a essere migliori», dice Romano Turrini nell’introduzio­ne.

Otto donne trentine che hanno affrontato un disagio psichico si rivelano per fare riflettere su come la società vede la follia, qual è il sottile confine con la normalità.

Il disagio psichico, come emerge nelle pagine, è una malattia non percepita come tale, anzi, spesso ignorata o relegata ai margini della vita. «Se poi si è donna – fa notare Katia Dell’Eva – tutto diventa ancora più pesante». In realtà il tema della sofferenza psichica è più vicino alla vita di ognuno più di quanto non sembri, come si comprende leggendo le otto interviste che danno voce a pazienti dell’ex Ospedale Psichiatri­co di Pergine

Valsugana, a utenti di servizi di salute mentale, ma anche a operatrici, madri, amiche, parenti e conviventi. «Abbiamo pensato di raccoglier­e le storie di donne che potessero raccontare la malattia mentale da diversi punti di vista– spiega Jacopo Tomasi- : chi l’ha vissuta in prima persona, chi l’ha vista negli occhi di un proprio familiare, chi lavora o ha lavorato a stretto contatto con questi problemi».

Ecco dunque la vicenda di Ida Dalser, i cui tentativi di ricevere giustizia vengono considerat­i effetto della malattia mentale: «Viene considerat­a isterica, ossessiva, mitomane, delirante – scrive Tomasi - . E così il figlio Albino è ritratto come scostumato, impertinen­te, smanioso di distrugger­e tutto quanto gli capiti in mano».

Significat­iva anche l’esperienza di Piera, assistente sociale all’Ospedale di Pergine negli anni Sessanta, impegnata nel restituire dignità ai pazienti, lasciando che questi mantenesse­ro i propri abiti invece delle anonime tuniche, un taglio di capelli personale e una cura morale attraverso piccole ma importanti attività lavorative.

E poi c’è Laura, che riesce a uscire dalla depression­e, «all’improvviso si accorge di aver varcato quel sottile e presunto confine della normalità» grazie all’aiuto dei famigliari, una risorsa preziosa questa, come emerge in tutte le otto storie, perché contribuis­ce in maniera significat­iva al recupero e alla guarigione dei propri cari.

Per Valentina, che è bipolare e soffre di attacchi di panico, «una delle cose peggiori della malattia mentale è quando chi ti ama non ti supporta, ma anzi ti chiede di nascondert­i» per paura delle tue reazioni.

«Taci e non conoscerai il male – è il consiglio che si trasforma – in una nuova camicia di forza», in un nuovo limite, in una conferma di diversità, stranezza, follia.

Nel libro c’è poi chi preferisce rimanere anonimo, come Antonia, una mamma che soffre per l’esclusione della figlia da un mondo perfetto, di sensi di colpa che la tormentano. Fino al 1978 chi soffriva di disturbi psichici si vedeva sottrarre ogni diritto personale e veniva rinchiuso in manicomio: tra le pagine si percepisce dunque l’obiettivo di smontare stereotipi e pregiudizi che ancora esistono sul tema della salute mentale.

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Nell’immagine grande, di Edvard Munch In piccolo, la copertina del libro
Simbolo Nell’immagine grande, di Edvard Munch In piccolo, la copertina del libro

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