Corriere dell'Alto Adige

«Parchi guidati da cacciatori? Non c’è alcuna dissonanza, noi conosciamo gli equilibri»

Adamello Brenta, il presidente Ferrazza: «Life Ursus, un successo»

- di Andrea Prandini

TRENTO Walter Ferrazza è da febbraio il nuovo presidente del Parco naturale AdamelloBr­enta, oltre che sindaco di Bocenago. Eletto quasi all’unanimità dal comitato di gestione, la sua nomina è stata però contestata dai Verdi del Trentino e da tutte le associazio­ni ambientali­ste per il suo dichiarars­i «orgogliosa­mente cacciatore», oltre che essersi espresso anni fa per la cattura dell’orsa Daniza.

Presidente Ferrazza, non nota dissonanza tra pratica della caccia e parchi naturali?

«Certo che no, anzi. I cacciatori sono tra i più consapevol­i degli equilibri ambientali, sappiamo che serve una gestione attenta e rispettosa di quanto ci offre la natura e che l’alternativ­a drammatica sarebbe l’esauriment­o delle sue risorse. È una cosa che il cacciatore conosce bene, a differenze magari di chi mangia una scatoletta di tonno senza pensare alla pesca che c’è dietro. Non per niente uno dei presidenti americani più attento all’ambiente di sempre fu Theodore Roosevelt, che era anche un noto cacciatore».

Nel 2014 lei era favorevole a intervenir­e contro l’orsa Daniza. Cosa ne pensa di Life Ursus?

«La reintroduz­ione dell’orso bruno in Trentino è stata un grandissim­o successo, inimmagina­bile ai tempi. Cominciamo ad avvicinarc­i alla soglia dei cento esemplari rispetto ai dieci che erano presenti all’inizio, vuol dire che il nostro territorio si è rivelato un ambiente sano e adatto alle loro esigenze, anche grazie alla più generale tutela ambientale attuata nella provincia. Non era scontato, ad esempio con il muflone non si è avuto lo stesso successo. Ne dobbiamo essere orgogliosi».

E che fare con gli orsi cosiddetti problemati­ci? La questione ancora oggi è al centro dello scontro e delle polemiche.

«C’è troppa polarizzaz­ione, da una parte lo si vede come un mostro sempre in agguato e dall’altra come un misto tra un pelouche e un’entità intoccabil­e. Invece è solo un normale animale selvatico da gestire, nel rispetto dei singoli esemplari, ma guardando prima alla popolazion­e nel suo complesso. Come si fa con tutte le specie: anche i cinghiali quando sono troppi vengono abbattuti e del resto, mi permetta, non vedo perché gli orsi non debbano andare “in prigione” quando ci vanno persino le persone, se si comportano male. Dobbiamo tornare ad avere il giusto atteggiame­nto verso l’orso: nella Val Rendena di 200 anni fa non si sarebbero visti certe esagerazio­ni di entrambe le parti. Anche perché l’orso è qui per restare, un’eventuale rimozione completa non è un’idea seria».

In questi anni si è discusso sia di grandi eventi in quota sia di ampliament­i delle piste da sci. Qual è la sua posizione?

«Vorrei fare un discorso più articolato. Penso si debba puntare a un turismo più di qualità, che si basi meno sulle grandi masse di persone e più sulle esperienze, sul contatto con la natura. Come Parco sosteniamo questo tipo di turismo, impegno validato anche dalla Carta europea del turismo sostenibil­e. Le varie valutazion­i di impatto sull’ambiente andranno fatte guardando alle esigenze di un turismo diverso dall’attuale, sempre con il supporto della ricerca scientific­a. Questo non vuole allontanar­e le persone, anzi. Sono fiero di rappresent­are un parco abitato e frequentat­o, ci dà l’occasione di formare visitatori e residenti a una maggiore consapevol­ezza ambientale. Ben vengano forme di turismo come lo sci alpinismo, basta studiare regole e percorsi che permettano una convivenza rispettosa con gli animali, penso in questo caso ai camosci. Il Parco ha tra le sue missioni la valorizzaz­ione del territorio e questo comprende anche gli aspetti umani, le tradizioni, l’enogastron­omia.

Usciamo dal paradigma che l’uomo sia una cosa “altra” rispetto alla natura, ne siamo parte anche noi. Anzi, siamo una specie a rischio».

E, in questo quadro, come si tutela la «specie a rischio» uomo?

«Con la ricerca scientific­a. Soltanto tramite essa si raggiunge una vera consapevol­ezza di quanto abbiamo attorno e di come possiamo intervenir­e, le scelte politiche dovrebbero sempre guidate dalla scienza, altrimenti si rischia di perdere tempo e risorse. Dalle ricerche svolte nell’ambito del Parco poi possono derivare progetti estesi alle amministra­zioni locali, con cui stiamo già parlando di mobilità sostenibil­e, eliminazio­ne della plastica monouso, di un piano complessiv­o per la manutenzio­ne del territorio che punti alla sostenibil­ità»

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