L’avvocato Brandstätter «Sono un self-made man Lavoro 14 ore al giorno»
Il rapporto con il padre e lo tsunami Sparkasse «Schwazer ha sbagliato. Plattner? Oneri e onori»
L’avvocato, presidente di Sparkasse e console onorario di Germania Gerhard Brandstätter si racconta: il rapporto con il padre Josef, la crisi di Cassa di Risparmio, il rapporto con Durnwalder, il fascicolo Schwazer, le sue quattro donne, lo sport, i suoi difetti e la cioccolata al latte.
Quando nasci nell’ospedale fondato da tuo nonno e impari a giocare a scacchi «prima di saper leggere e scrivere», è evidente a tutti, a te per primo, che il futuro è tracciato. A 65 anni, nel suo gessato avio che esalta il turchese di occhi vivi dal taglio malinconico, il presidente di Sparkasse, console onorario tedesco e avvocato del celebre studio bolzanino che porta il suo nome, si racconta con la flemma di chi non ha più nulla da dimostrare a nessuno. «Sono Gerhard Brandstätter - Brandy per gli amici, classe ‘53, avvocato a Bolzano dall’82 dopo alcuni anni di “vagabondaggio”. Mi sono laureato a Firenze (con il massimo dei voti e
cum laude), poi sono stato a Bruxelles, Milano, Los Angeles e Roma da professor Pescatore: l’esperienza più gratificante. Intanto avevo fatto pratica a Bolzano nello studio paterno». E ora non le va stretta la provincia?
«L’Alto Adige è uno dei territori più belli al mondo: è nel cuore dell’Europa, ha cultura, tradizione, permette di vivere e lavorare internazionalmente». Suo padre Josef era generale dei carabinieri. Che genitore è stato?
«Un punto di riferimento molto importante: l’esempio che con serietà, impegno, onestà e coraggio si può far
strada. In guerra era nel collegamento tra Badoglio e Rommel. Tornato ricominciò dal nulla e nel ’63 ha aperto lo studio legale a Bolzano. Era un buon padre, molto attento ed esigente». Dicono fosse nei servizi segreti…
«Era colonnello nel quinto corpo d’armata Vittorio Veneto, credo anche con mansioni di polizia militare, ma nei servizi segreti assolutamente no».
È stato, come lei, avvocato e presidente di Sparkasse. Ha sofferto del confronto inevitabile con lui?
«Penso a lui con affetto e gratitudine. Ho sempre ammirato il suo impegno, nessun peso, nessun vincolo…». C’è chi le imputa di non essere esattamente un self-made man…
«Non sono bene informati. Il sottoscritto è andato a Roma a fare l’avvocato per 250mila lire. Sono tornato, lo studio aveva 3 persone: oggi siamo in 35, offriamo consulenza completa su civile, penale e amministrativo. Mi chiamarono alla presidenza di Mediocredito per accompagnare la trasformazione da ente di diritto pubblico in Spa privata. La carriera bancaria non era nei miei obiettivi. In Fondazione, durante la scalata di Fiorani, pensarono fossi l’uomo giusto per fronteggiare l’emergenza. Quindi penso proprio di esserlo, un self-made man: quando ebbi i mandati bancari mio padre era in pensione, non c’entrava nulla». Dicono che la sua protezione sia al prezzo di devozione e sudditanza.
«Apprezzo la lealtà, l’amicizia e sono pronto a battermi per chi ritengo meritevole. Come quando, alle elementari, intervenni per difendere due amichetti presi a botte: avevo i vestiti strappati ma la soddisfazione di aver aiutato i più deboli. Sono rimasto così: quando posso aiuto e do una mano. Forse, però, qualcuno ritiene la mia presenza ingombrante».
Qualche anno fa Sparkasse è stata travolta da uno tsunami. Come spiegherebbe a un bambino l’accaduto?
«La Cassa di risparmio ha una grande tradizione a sostegno del territorio, ha scritto pagine importanti dell’Alto Adige. Della crisi ha molto risentito essendo la più impegnata nell’economia e nell’edilizia, l’unico settore che in provincia ha veramente sofferto. Questo, unito a scelte gestionali sbagliate, a un’espansione troppo pronunciata su territori che non erano quelli classici, ha portato a grande difficoltà. Quando nel 2014 abbiamo assunto le redini ci siamo rimboccati le maniche; oggi la banca è solida, proiettata al futuro, in grado di riassumersi il ruolo di banca per famiglie e piccole-medie imprese e di player sociale tramite la fondazione».
Pensa sia mancato il controllo da parte di società di revisione, collegio sindacale e Banca d’Italia?
«Banca d’Italia ha effettuato un’ispezione severa ma costruttiva, accertando i fatti e permettendoci di ripartire, anche con un supporto tecnico. In merito agli organi sociali sono state avviate le azioni di rito e si farà quel che è giusto ed equo». Considera sviscerato il tema delle responsabilità delle società collegate?
«È stato affrontato, analizzato, risolto e sistemato. Raetia Sgr è a posto, è in liquidazione, non c’è più un centesimo di debito. Con l’assistenza di legali e tecnici è tutto risolto». Plattner è stato un po’ il capro espiatorio della crisi di Sparkasse?
«Purtroppo l’assunzione di ruoli di vertice comporta anche l’assunzione di responsabilità. Pendono dei procedimenti e vedremo come si chiudono. Però questa ormai è retrospettiva». Quali altri incarichi ricopre ora?
«Sono tra i pochi legali iscritti all’albo dei revisori, siedo in collegio sindacale, nel comitato esecutivo di Abi, sono vice presidente dell’Acri e console onorario della Germania dal ’99. Esperienza interessante e impegnativa che mi ha portato a conoscere anche il presidente della Repubblica tedesca, cancellieri, ministri, ambasciatori». Cos’è il potere?
«La possibilità di operare nell’interesse della collettività con impegno, correttezza, trasparenza e condivisione degli obiettivi da raggiungere». Che effetto le fa il denaro?
«Io faccio il professionista. Lavoro e vivo bene e quando posso aiuto anche chi è in difficoltà. Se avessi inseguito traguardi economici importanti avrei
dovuto fare scelte imprenditoriali».
Lei è italiano con i tedeschi e tedesco con gli italiani, avvocato con i banchieri e banchiere con gli avvocati.
«Ho sempre rivendicato di essere un cittadino Italiano migliore di altri perché pago le tasse, rispetto le regole e l’ambiente, anche se per la difficoltà a pronunciare il mio cognome finisco sempre per essere “Brandy”. Essere banchiere e avvocato mi ha creato solo vantaggi: in Fondazione all’epoca della “battaglia” se non avessi avuto un background legale forse non ne saremmo usciti. E come avvocato di diritto societario ho tratto grosso beneficio da insegnamenti e nozioni della mia vita bancaria».
Era a capo dell’ala economica Svp. Ha pensato di candidarsi?
«Mi è stato più volte offerto: in Comune, in Provincia e a Roma. Ho sempre declinato con gratitudine perché la politica era incompatibile con uno studio legale di 30 persone».
Lei era presidente della società Areale. Come vede l’ipotesi di un investimento di Benko sull’operazione?
«Benko è stato il primo a investire sulla ristrutturazione del centro: a lui i meriti e demerito nostro di bolzanini che abbiamo aspettato uno da fuori. Nell’areale c’è spazio per più progetti e investitori. Se uno è Benko, bene: chi sviluppa la città rispettando i piani regolatori va bene». Serve un progetto sull’aeroporto?
«C’è già l’aeroporto: va messo al servizio dell’aviazione civile. Siamo patrimonio Unesco, abbiamo i musei di Ötzi e Messner, congressi internazionali, terme, festival e iniziative. Il problema della raggiungibilità va risolto». Che famiglia è la sua?
«Ho due figlie grandi e sono nonno di una nipotina. Sono circondato da donne. Hanno sofferto del poco tempo
che ho avuto, tornando indietro tenterei di recuperare più tempo per la famiglia. Ho una moglie riservata che non ama la mia vita pubblica ma ci siamo molto trovati nelle passioni private, con (seppur poche) vacanze, sport e cultura». Qual è il suo maggior pregio?
«L’impegno e l’onestà». E il suo più grande difetto?
«Sono troppo sensibile, un po’ musone e tendo a portare rancore». Invidia qualcosa a qualcuno?
«La cosa che rovina la società, e pur con mille difetti non ho, è l’invidia». Qualche debolezza?
«Essere coccolato dalle mie donne, la cioccolata al latte e un buon bicchiere di vino bianco fresco o un calice di rosso. Mi piaceva essere vestito bene, ma i sarti ormai sono merce rara». Lei è molto competitivo?
«Sì. Mi piace eccellere».
So che è molto sportivo. Ha corso la Maratona delle Dolomiti?
«Da tre anni non la faccio più, perché non trovo il tempo di fare allenamento. Sono orgoglioso: se vado voglio fare una discreta performance». Dicono che da giovane volesse fare il calciatore. Perché ha rinunciato?
«Mi chiamò il Bolzano per un provino. Mio padre disse: no, ragazzo, il liceo è impegnativo. Forse non avevo i numeri per diventare un calciatore, ma a Roma nel campionato di calcetto a 5 mi chiamavano “il brasiliano”». Quanto ha influito il suo amore per lo sport nel difendere Alex Schwazer?
«Molto. Di Alex ho capito l’errore che ha fatto la prima volta: era stato lasciato solo, circondato da un mondo marcio. È caduto, è tornato forte di un sacrificio enorme e quello che gli è accaduto poi è stata un’imboscata pianificata, programmata e vile. Lo difenderò fino in fondo perché lo merita». Che rapporto ha con lui?
«Sono il legale e l’amico paterno».
E con Luis Durnwalder? La vostra è un’amicizia di lungo corso…
«Non lo conoscevo, mi diede incarichi professionali perché ero fuori dalla mischia e non ambivo a cariche. Ha visto in me una persona impegnata, perché lavoro dalle 8 del mattino alle 10 di sera. Lo difendo legalmente, ma non andiamo in ferie insieme». Durnwalder o Kompatscher?
«Durnwalder è stato un grande politico e amministratore, ha sviluppato benessere. Kompatscher è un giovane talentoso che a sua volta sta cercando di sviluppare ulteriormente l’Alto Adige».
Come mai l’Alto Adige non sa esprimere un leader italiano?
«La politica locale ha subìto le dinamiche della partitocrazia italiana: dovrebbe coltivare la qualità e il merito della persona, non le piccole ideologie di partito».
Ha sofferto più per l’esclusione degli azzurri dai Mondiali o per la sconfitta dei tedeschi?
«Mi è dispiaciuto molto per la non partecipazione dell’Italia ai Mondiali: il nostro è un Paese di calcio e paga la scarsa cura dei vivai. Sulla Germania avevo presagito male: sono mancati giocatori come Klose, Schweinsteiger e le aspettative erano troppo alte». In Italia non avverte un clima di avversione contro la Germania?
«Ogni tanto sì, ma è più un luogo comune: vedo molta sintonia tra due Paesi leader in Europa a livello culturale, commerciale e politico». Quando lascerà questo mondo come vorrebbe essere ricordato?
«Come una persona impegnata, onesta, che ha cercato di dare il meglio e quando ha potuto ha aiutato».
Protezione e sudditanza
Apprezzo la lealtà, l’amicizia e amo battermi per i meritevoli Forse, però, qualcuno ritiene la mia presenza ingombrante
Benko ha investito sul centro: a lui i meriti e demerito nostro di bolzanini se abbiamo aspettato uno da fuori
Debolezze? Essere coccolato un po’ dalle mie donne, la cioccolata al latte e un calice di vino bianco o un buon rosso