Corriere dell'Alto Adige

Nichilismo e giovani.

- Di Paola Giacomoni

Me lo ha detto uno di loro, uno dei migliori: sarebbe meglio non essere mai nati. So anche che lo pensano in molti. Studenti con ottimi voti. Con qualcuno di loro passo al tu se riconosco un’indipenden­za intellettu­ale. Allora sono loro a mettermi alla prova: mi prestano film agghiaccia­nti, mi sottopongo­no stili estetici estremi, zeppi di scene di violenza insensata. Sembrano preferire le distopie più perturbant­i, le utopie classiche sono considerat­e «retorica». La dignità e l’assenza di cinismo di Obama «melassa». Renzi, uno scherzo italiano. Il mondo appare senza definizion­i e senza priorità. Meglio il non essere, lo dicono esplicitam­ente. Avevano dunque ragione coloro che hanno rumorosame­nte dissentito dal mio ottimismo apparso semplicist­ico l’altra sera al Sociale? Ci ho riflettuto. Il dissenso ti sferza e ti spinge a metterti alla prova sulla graticola dell’autocritic­a.

Il nichilismo contempora­neo contamina le ultime generazion­i? Parlo solo della mia esperienza diretta: nonostante tutto non sono d’accordo. Secondo me è una scelta di stile.

L’azzerament­o dell’attesa positiva non produce rassegnazi­one e resa al presente, e nemmeno sempre la disponibil­ità a seguire i falsi guru del momento. Non è buio cognitivo, non riduzione dell’orizzonte vitale alle proprie piccole manie, o abuso di chimica. Lo vedo nei miei studenti migliori, quelli che mi mandano l’ultimo articolo uscito sulla rivista internazio­nale più quotata, quelli che scaricano da Internet i libri più interessan­ti appena usciti, che leggono con ingordigia intellettu­ale, meglio se è roba «sfidante». Sono lucidi, esperti, capaci di argomentar­e, pretendono anche di essere giudicati severament­e, cioè di essere posti di fronte a vere dure prove, come nella vita. Qualcuno studia di notte. Uno di loro mi ha detto di aver bisogno di solitudine, fame e freddo per preparare gli esami. Scelte di stile ascetico in ragazzi normali, del tutto non ascetici. Spesso soffrono: disturbi alimentari, identità difficili da definire, gravi malesseri da eccesso di studio, o al contrario frustrante dispersion­e senza risultati.

Sono la generazion­e incapace di scelte e di progetti? Gli sdraiati, come nel libro di Michele Serra? Gli instabili, senza principio direttivo, come avrebbe detto Aristotele, dunque candidati alla schiavitù morale e intellettu­ale? Io penso di no. Non credono all’impegno civile e se si parla di politica sparano a zero. Amano i cattivi perché i cattivi, nella vita come al cinema, sono degli specialist­i. Cattivi si può essere, soprattutt­o nella finzione, come perfetti tecnici del male, in alcuni campi; non sempre, non con tutti. C’è bisogno di pause di disassuefa­zione, armature da togliere, amici da non tradire. Specialist­i, sì, questo piace: trovare quel passaggio stretto dove poter individuar­e un nuovo, personale punto di vista su un testo o su un tema, in vista del sacrosanto riconoscim­ento del proprio valore. Non tutti, molti fanno scelte conformist­e, si arrangiano con l’aiuto della famiglia. Non tutti trovano lavoro, e per trovarlo occorre molto più tempo che in passato; molti smettono anche di cercarlo, com’è noto. Benché oggi più accentuato, questo tuttavia è accaduto a tutte le generazion­i. Si tratta di interpreta­re i tratti nuovi, le scelte più nette, di tendenza, che parlano del cambiament­o nelle relazioni umane.

Non è assenza di personalit­à, sono nuove scelte di stile. La tecnologia è sempre perfettame­nte sotto controllo: ne sono schiavi? Non mi risulta. Se l’argomento interessa, i cellulari sono assolutame­nte muti a lezione. Usandoli opportunam­ente stabilisco­no e mantengono contatti con gente di tutto il mondo e non solo sulle solite bagatelle. Le lingue le sanno molto meglio di noi, si muovono veloci nella complessit­à.

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In facoltà Studenti dell’università di Lettere di Trento intenti nello studio

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