Nichilismo e giovani.
Me lo ha detto uno di loro, uno dei migliori: sarebbe meglio non essere mai nati. So anche che lo pensano in molti. Studenti con ottimi voti. Con qualcuno di loro passo al tu se riconosco un’indipendenza intellettuale. Allora sono loro a mettermi alla prova: mi prestano film agghiaccianti, mi sottopongono stili estetici estremi, zeppi di scene di violenza insensata. Sembrano preferire le distopie più perturbanti, le utopie classiche sono considerate «retorica». La dignità e l’assenza di cinismo di Obama «melassa». Renzi, uno scherzo italiano. Il mondo appare senza definizioni e senza priorità. Meglio il non essere, lo dicono esplicitamente. Avevano dunque ragione coloro che hanno rumorosamente dissentito dal mio ottimismo apparso semplicistico l’altra sera al Sociale? Ci ho riflettuto. Il dissenso ti sferza e ti spinge a metterti alla prova sulla graticola dell’autocritica.
Il nichilismo contemporaneo contamina le ultime generazioni? Parlo solo della mia esperienza diretta: nonostante tutto non sono d’accordo. Secondo me è una scelta di stile.
L’azzeramento dell’attesa positiva non produce rassegnazione e resa al presente, e nemmeno sempre la disponibilità a seguire i falsi guru del momento. Non è buio cognitivo, non riduzione dell’orizzonte vitale alle proprie piccole manie, o abuso di chimica. Lo vedo nei miei studenti migliori, quelli che mi mandano l’ultimo articolo uscito sulla rivista internazionale più quotata, quelli che scaricano da Internet i libri più interessanti appena usciti, che leggono con ingordigia intellettuale, meglio se è roba «sfidante». Sono lucidi, esperti, capaci di argomentare, pretendono anche di essere giudicati severamente, cioè di essere posti di fronte a vere dure prove, come nella vita. Qualcuno studia di notte. Uno di loro mi ha detto di aver bisogno di solitudine, fame e freddo per preparare gli esami. Scelte di stile ascetico in ragazzi normali, del tutto non ascetici. Spesso soffrono: disturbi alimentari, identità difficili da definire, gravi malesseri da eccesso di studio, o al contrario frustrante dispersione senza risultati.
Sono la generazione incapace di scelte e di progetti? Gli sdraiati, come nel libro di Michele Serra? Gli instabili, senza principio direttivo, come avrebbe detto Aristotele, dunque candidati alla schiavitù morale e intellettuale? Io penso di no. Non credono all’impegno civile e se si parla di politica sparano a zero. Amano i cattivi perché i cattivi, nella vita come al cinema, sono degli specialisti. Cattivi si può essere, soprattutto nella finzione, come perfetti tecnici del male, in alcuni campi; non sempre, non con tutti. C’è bisogno di pause di disassuefazione, armature da togliere, amici da non tradire. Specialisti, sì, questo piace: trovare quel passaggio stretto dove poter individuare un nuovo, personale punto di vista su un testo o su un tema, in vista del sacrosanto riconoscimento del proprio valore. Non tutti, molti fanno scelte conformiste, si arrangiano con l’aiuto della famiglia. Non tutti trovano lavoro, e per trovarlo occorre molto più tempo che in passato; molti smettono anche di cercarlo, com’è noto. Benché oggi più accentuato, questo tuttavia è accaduto a tutte le generazioni. Si tratta di interpretare i tratti nuovi, le scelte più nette, di tendenza, che parlano del cambiamento nelle relazioni umane.
Non è assenza di personalità, sono nuove scelte di stile. La tecnologia è sempre perfettamente sotto controllo: ne sono schiavi? Non mi risulta. Se l’argomento interessa, i cellulari sono assolutamente muti a lezione. Usandoli opportunamente stabiliscono e mantengono contatti con gente di tutto il mondo e non solo sulle solite bagatelle. Le lingue le sanno molto meglio di noi, si muovono veloci nella complessità.