Il sogno americano
Fritz è l’ultimo ostacolo sulla strada di Sinner che appare teso, è più magro e sorride poco «Avrò il tifo contro, non sarà affatto facile»
Sono trascorsi appena 224 giorni, eppure sembra un’era geologica. Il 28 gennaio, quando vinceva la sua prima finale Slam, a Melbourne in rimonta contro Medvedev, Jannik Sinner aveva addosso una leggerezza che è un ricordo. «Là arrivava fresco — rammenta Simone Vagnozzi, il coach italiano —. Oggi è il numero 1 e in vista della sfida con Fritz ha la pressione del pronostico, che sa gestire bene. Però anche le cose brutte servono per fare esperienza e crescere come uomo».
L’età dell’innocenza è finita il 19 agosto, con la sentenza di proscioglimento dalla doppia positività al doping per clostebol. La versione di Sinner arrivata all’ultimo atto dell’open Usa, e al terzo confronto di stasera con Taylor Fritz (1-1 i precedenti), il più affamato dei nuovi americani d’esportazione, ha poco a che vedere con l’invincibile guerriero dell’australia: oggi Jannik è magrissimo (qualche chilo di muscoli è evaporato a causa degli stop per infortuni e malattie varie), teso come una corda di violino, con un lampo di inquietudine negli occhi, forse al pensiero della possibilità che l’antidoping mondiale (Wada) faccia ricorso al Tas contro la sentenza d’assoluzione, eventualità da escludere solo dopo la mezzanotte di domani, quando potrebbe avere il secondo Major stagionale in tasca. Il ragazzo, eppure, è innervato di fil di ferro: nel 2024, l’anno straordinario in cui l’italia grazie a Sinner e Paolini ha portato almeno un azzurro in ogni finale Slam, ha un bilancio di 54 vittorie e 5 sconfitte. Nonostante tutto. «Tra Melbourne e New York ci sono stati momenti non semplici — ammette lui —, tanti successi, qualche sconfitta. Ogni finale è una bella sensazione perché c’è dentro la volontà di arrivare. Una domenica Slam, poi, è sempre speciale».
Jannik ci arriva avendo ceduto due set per strada (con Mcdonald al primo turno, quando fu irriconoscibile, e Medvedev nei quarti), è rimasto in campo 14 ore 20’ (contro le 15 e 27’ di Fritz, che ha perso un totale di 4 set eliminando avversari di peso: Berrettini, Ruud, Zverev, Tiafoe nel derby di semifinale), è sopravvissuto alla brutale avventura di venerdì con Draper, che l’ha lasciato con il polso sinistro tumefatto dopo la caduta. La notte con il ghiaccio ha aiutato a smaltire il trauma, già subito dopo il match Sinner era stato conciliante: «Se fosse stata una cosa grave, me ne sarei accorto».
Fritz è un confronto affascinante perché diventa una guerra tra mondi. L’italia dei miracoli contro la superpotenza che 21 anni dopo Roddick (2003) prova a sventolare il bandierone a stelle e strisce sull’open Usa, epicentro dell’impero: New York sogna il bel faccino di Taylor, n.6 del ranking dovesse farcela, californiano classe ‘97, giovanissimo padre, figlio di un maestro e di un’ex top 10 (Kathy May), fidanzato con una influencer (Morgan Riddle) incontrata su un sito di appuntamenti, in parata per i talk show e in vetta all’empire State Building per le foto con la coppa. The italian permettendo. Ma nella stagione dei record e dei temporali emotivi, Sinner non arretra di un millimetro: «Fritz è solido da fondo, ha un gran servizio, sa colpire sia piatto che con le rotazioni — spiega —, viene a rete meno di Tiafoe: la partita negli Usa con un americano, con il tifo contro, non sarà affatto facile. In ogni caso, chi arriva in finale lo merita».
L'unico difetto di Jannik è che è troppo gentile, ha detto Draper. «Non è vero — sorride il numero 1 —, sbaglio ancora troppe volée, con Jack non sono sceso a rete abbastanza. A volte non azzecco la scelta dei colpi, ma sono dettagli che a questo livello si possono migliorare». Il cantiere Jannik Sinner avanza a tappe forzate, alla ricerca dell’antica gioia che solo pochi mesi fa si leggeva nello sguardo del giocatore, che ha promesso i nomi dei nuovi membri del team a fine torneo. È stato ritenuto più prudente,
Difficoltà
«Tra Melbourne e New York ci sono stati momenti non semplici. Un Major è speciale»
nel frattempo, risparmiargli il girone di Davis a Bologna, al via mercoledì con il Brasile. Jannik, che aveva dato disponibilità per domenica (con l’olanda), forse si affaccerà un giorno per salutare e fare il tifo. Ma prima c’è da espugnare New York. L’ultimo miglio di un’impresa è il più difficile.