I romanzi oltre il romanzo
Scaffali Nelle settimane passate si è molto discusso di due elenchi di narratori Qui il critico del «Corriere» propone le sue preferenze A partire dall’anno 2000 Gli italiani a Francoforte, la classifica Usa Un canone per orientarsi nel XXI secolo
ualche settimana fa, a proposito della Fiera di Francoforte, in una sua nota Alfonso Berardinelli scriveva: «È innanzitutto impressionante la quantità di narratori invitati (per lo più capaci di parlare solo di sé, immagino). Oggi la parola “libro” è sinonimo di romanzo, anche se poi quasi nessun autore o lettore sa più che cos’è un romanzo. C’è il nome della cosa, ma non c’è la cosa». È davvero così? Personalmente, sono d’accordo con Berardinelli. Tuttavia la sua verità è parziale. Occorre dire, per essere precisi, che la ragione per cui «non c’è la cosa» dipende prima di tutto dalla sua straripante quantità; in secondo luogo dalla multiformità che in effetti ha assunto con il tempo, e sempre più nel XXI secolo, ciò che chiamavamo (e ancora chiamiamo) romanzo. Terza, ineluttabile conseguenza, è l’impossibilità di cogliere nella quantità qualcosa che somigli ad una qualsivoglia qualità. Ciò che davvero non c’è più non è il romanzo bensì la critica: o almeno ciò che così veniva chiamato: la critica fulminea, la critica quotidiana. È rimasta la critica accademica. Ma essa non è fondata che su valori consolidati: alla fine su un’eterna ripetizione o, al massimo, varianti e altre varianti.
Ho dedicato buona parte del mio tempo nelle settimane che si sono succedute all’articolo di Berardinelli nel tentativo di riordinare nella memoria (e nell’esplorare nella libreria) i libri, che non chiamerò necessariamente romanzi, che vi si erano depositati. Nelle forme più disparate — a differenza che nel XIX e XX secolo — provenienti dai Paesi più lontani: i libri che negli ultimi venticinque anni credo siano degni di essere letti. Non saprei dire, d’ognuno d’essi, quale sia migliore e quale meno convincente; quale più nuovo e quale tutto sommato «tradizionale»; ma so con certezza che la mia esperienza è molto diversa dalla classifica dei cento migliori romanzi pubblicata pochi giorni fa dal «New York Times». Cento! Un’enormità. E non solo: ben pochi, coincidenti i nomi degli autori e i titoli del «New York Times» e quelli che elenco in questa pagina.
Se compaiono nomi come Donna Tartt o Jonathan Lethem o Stephen King o Elizabeth Strout il significato può essere uno solo: che negli Stati Uniti si leggono in netta prevalenza i libri degli scrittori americani e che per i lettori americani nulla è cambiato: il romanzo è quello che era e che se il numero scelto è cento avrebbe potuto essere duecento o trecento.
Anche i miei cinquantaquattro autori
Il criterio di scelta Esclusi gli autori del nostro Paese: troppo poca la distanza temporale
sono fin troppi e deliberatamente ho escluso nomi di scrittori italiani per la ragione opposta a quella del «New York Times»: per la troppo poca distanza. Comunque, qui sopra c’è l’elenco completo.
Scorrendo ancora una volta questo elenco, stilato nell’ambito delle mie individuali inclinazioni, noto alcune singolarità. La prima è quasi un arbitrio: ho citato qualche nome (Bolaño, Desai, Yehoshua, Munro, Kincaid, Enquist, Otsuka) non con i loro titoli migliori per la semplice ragione che i migliori sono dell’altro secolo ma mi sarebbe dispiaciuto ometterli. Faccio un esempio: Il libro di Blanche e Marie è un romanzo tutto esclamativo e tuttavia bellissimo; ma ancora più bello, dello stesso autore, Enquist, è Il medico di corte del 1999. Un altro esempio: Rosa e mortale di Francisco Umbral lo avrei messo a dispetto della regola, ma è del 1998! E poi: ho citato due libri di Mccarthy usciti tuttavia nello stesso anno. Non ho citato, di Javier Marías, il suo Tomás Nevinson — con ogni evidenza gemello del precedente Berta Isla, perché uscito nel 2021, quattro anni dopo. E ancora: ben oltre le classificazioni sempre accademiche (modernismo, post-modernismo, auto-fiction, ecc.) una quantità di titoli potrebbero rientrare in una famiglia: essa è una famiglia tematica, forse non per nulla e propriamente familiare: ma non tanto in quanto storie di famiglia ma in quanto racconti di perdite le più dolorose: genitori, figli, fratelli (il più lontano è naturalmente Kenzaburo Oe). E infine: nonostante vi siano, come ho detto, scrittori nati in ogni parte del mondo (Chimamanda Ngozi Adichie è nata in Nigeria, Sonali Deraniyagala è nata nello Sri Lanka) dominanti restano la lingua inglese e più numerosi gli scrittori statunitensi, seguiti dagli spagnoli e dagli irlandesi: Spagna e Irlanda le due nazioni che più hanno tardato a liberarsi dell’oppressione politica e sociale. Nonostante il romanzo non vi sia più, non è tramontata la libertà di scrivere libri che ad essi almeno somiglino.