«Fui io a far riaprire il caso Non c’erano i presupposti per tenerlo in arresto»
L’ex procuratore: è stato presente in aula a tutte le udienze
Nel marzo 2018, dopo quasi tre anni di indagini, fu lui, che all’epoca reggeva la Procura generale di Brescia, a decidere di avocare l’inchiesta sulla «scomparsa» di Mario Bozzoli, che sembrava destinata all’empasse e in prima battuta contava quattro indagati (i due nipoti Alex e Giacomo e altrettanti operai per favoreggiamento: Oscar Maggi e Aboagye «Abu» Akwasi). Già procuratore nazionale antimafia aggiunto, Pier Luigi Maria Dell’osso, nel 2020 chiese poi il rinvio a giudizio solo a carico di Giacomo Bozzoli, e l’archiviazione per gli altri. Mai ravvisò profili di omissioni o censura nei confronti dei colleghi e lo ribadì più volte, ma di sicuro la «svolta» di questo caso partì da lì. Un «caso che si è presentato complesso da subito», lo definì. Un delitto dal movente economico quello dell’imprenditore 52enne di Marcheno, sostenne da subito l’ex pg, maturato in un clima di tensioni familiari, un contesto di «rabbia, astio e contrasti crescenti» e pagamenti non propriamente legittimi.
Sono passati quasi nove anni e siamo arrivati a una condanna all’ergastolo, definitiva.
«Allora ho fatto semplicemente ciò che ritenevo di dover fare. Andare avanti e non archiviare, ma tentare ulteriori investigazioni. Le indagini prima e i processi poi hanno confermato la giustezza di quelle valutazioni. Peraltro, nulla di straordinario se devo dirlo in assoluta franchezza: andava fatto, bisognava procedere. Ho dovuto avocare per arrivare fino a qui e l’ho fatto dopo tre anni quasi, non certo subito, ma una volta valutate le circostanze e le interlocuzioni del caso. E, me lo conceda, mi sono preso carico di questa inchiesta in prima persona».
Ma Bozzoli, adesso, non si trova.
«Credo che chi è stato incaricato di eseguire la sentenza ormai definitiva si starà dando da fare come è assolutamente doveroso che sia. (Pausa). Ma è chiaro che, certo, da uomo libero fino a quel momento, ben sapesse la data dell’udienza fissata in Cassazione. Credo sia necessario attendere qualche giorno: per capire le sue intenzioni, ma anche i risultati a cui le ricerche porteranno».
Intanto è stato emesso un decreto di latitanza.
«Vede, di fatto latitante lo è diventato nel momento in cui è scattata l’esecuzione della pena inflitta dalla Cassazione».
Il tempo per «organizzarsi» di certo non è mancato...
«Questo è innegabile, ma non è certo cosa semplice».
C’è chi ancora si chiede perché Giacomo Bozzoli non sia finito in carcere anni fa.
«I presupposti per un arresto, una misura cautelare, si valutano strada facendo, momento per momento. Con il senno di poi, ovviamente, ci si chiede se si è agito davvero nel modo giusto. Ma valutare spetta a chi ha la competenza per farlo, e anche quando ero io a indagare sul caso Giacomo Bozzoli è sempre stato disponibile e reperibile. Se non sbaglio ha anche partecipato a tutte le udienze in primo e secondo grado, così come mi risulta che fino ad alcuni giorni fa fosse rintracciabile e presente».
Il pericolo di fuga non fu mai ravvisato, del resto.
«Esattamente, altrimenti avremmo agito in modo diverso».
Eppure Bozzoli ora si è reso irreperibile.
«Nell’ultima settimana, magari, in previsione della sentenza fissata in Cassazione, si è portati a ritenere che fosse in qualche modo monitorato, nella piena consapevolezza dell’impossibilità di agire, visto che era un uomo libero: monitorare però non significa fermare. Certo, poi proprio nel momento più delicato, per ora, ha fatto perdere le sue tracce. Ma allo stato è difficile compiere qualsiasi valutazione, è passato troppo poco tempo: questo breve lasso lascia pensare che Giacomo Bozzoli possa ancora costituirsi. Ha sempre dimostrato, e questo lo ricordo bene, di essere ben presente a se stesso».
Le prossime ore Ha sempre dimostrato di essere presente a se stesso: ora potrebbe decidere di costituirsi