Corriere della Sera

«Alla Bussola arrivò Celentano e papà lo scambiò per un bagnino Con Gino Paoli fece a botte Mi disse: Mina non è un’amante»

Sergio Bernardini e il suo locale storico in Versilia raccontati dal figlio: «Ai cantanti dava carta bianca»

- Di Chiara Maffiolett­i

«Non ho mai visto mio padre in costume da bagno», racconta Mario Bernardini mentre è in cerca dei suoi ricordi di bambino. Il fatto, sa bene, è curioso perché suo papà, Sergio Bernardini, è stato un simbolo della Versilia, capace di trasformar­e uno scampolo di mare piuttosto distante da tutto — specie negli anni Cinquanta — nel centro di ogni cosa, almeno per lo spettacolo. Questo perché, proprio lì, aveva fatto nascere un locale entrato nella storia: La Bussola. «Mio padre era un visionario — dice —. L’obiettivo della sua vita era stupire il pubblico. Era quasi una mania». Tanto che ora, il documentar­io in onda il 21 giugno in prima serata su Rai3 a lui dedicato, si intitola La Bussola - Il collezioni­sta di stelle.

Quindi non ha mai fatto un bagno al mare con suo padre.

«Sono cresciuto a Milano: mia madre, io e mio fratello raggiungev­amo papà d’estate. L’ho visto andare al mare solo nelle vesti di nonno, con mio figlio. La Bussola era il suo lavoro. Mia mamma ci è andata due volte in tutto e una era nel 1977, per il mio matrimonio».

Famiglia e lavoro viaggiavan­o su binari separati.

«Completame­nte. Anche se sono cresciuto chiamando zio Celentano e zia Mina».

Quando ha capito che suo padre non faceva un lavoro come gli altri?

«Mi rendevo conto che tutti conoscevan­o La Bussola. Lui voleva colpire il suo pubblico con gli spettacoli più mirabolant­i: viaggiava spesso per convincere gli artisti. Un giorno, avrò avuto 10 anni, io e mio fratello lo avevamo accompagna­to in aeroporto: doveva andare a Parigi e Londra. Lì, sul momento, ci disse: venite con me».

Il primo concerto organizzat­o da suo padre alla Bussola fu quello di Carosone.

«Aveva preso il locale che esisteva già da due anni: non funzionava. Carosone era una star. Per convincerl­o fece un lungo pressing sulla moglie: le mandava rose tutti i giorni. Carosone suonava a Milano per una settimana e mio padre per una settimana andava a vederlo: si sedeva al tavolo, lo ascoltava e se ne andava. Di giorno mandava i fiori. L’ultima sera, a fine concerto, lo invitò a bere un bicchiere di champagne: parlarono, poi lo fece salire in macchina e lo portò da Milano in Versilia».

Non demordeva, insomma.

«Mai. Gli fece trovare La Bussola illuminata. “Signor Carosone, faremo grandi cose”, gli disse. E la solita frase». Quale?

«“La cifra non è un problema, la metta lei”».

Quanto fu?

«Allora i cantanti prendevano 60 mila lire a serata. Mio padre ne offrì 190 mila. Il costo di un appartamen­to di allora. Aveva rotto il mercato». Da lì, furono tutti successi. «Sì, ma dal primo all’ultimo spettacolo non ha mai guardato alla cassa. Per lui il godimento era osservare il pubblico e pensare subito dopo a come andare oltre».

Come è riuscito a far arrivare alla Bussola, a Marina di Pietrasant­a, così tante star, anche internazio­nali?

«Louis Armstrong, Aretha Franklin, Paul Anka: tutti passati dalla località Le Focette. Si sentivano tutelati da papà, amava gli artisti. Quando viveva con i genitori, ogni tanto andava a trovarlo Buscaglion­e e facevano serata suonando... mio nonno usciva di casa col fucile per farli smettere». Quindi era anche artista? «Io l’ho sentito solo suonare due note di contrabbas­so. Però sì, suonava, anche assieme a Piero Angela».

Come mai scelse di fare il suo locale in Versilia?

«Diceva che la Versilia era la sua Las Vegas. La geografia era una cosa relativa per lui, nato per sbaglio a Parigi: mia nonna era la balia dei figli dei fratelli Lumière. Il suo era un laboratori­o dove gli artisti erano liberi di esprimersi, non a caso anche De André si convinse a cantare in pubblico per la prima volta lì. Mina sarebbe diventata grande comunque, ma papà la lanciò».

Il suo ultimo concerto è stato a Bussoladom­ani.

«La sua storia è legata a doppio filo con quella di mio padre. Si diceva fosse la sua amante. Ricordo una telefonata di papà che mi avvertì: se il tg parla di me sono tutte cavolate. Avevano un rapporto viscerale, ma come amici».

Anche con Celentano.

«Altroché. Per via del suo abbigliame­nto particolar­e papà lo aveva scambiato per un bagnino. Aveva dei sandali, una canottiera, pantaloni strappati. Andò da mio padre e gli disse: “Salve, le presento il rock, cioè me stesso”».

Ne è nato un rapporto speciale. Come con Gino Paoli.

«Un fratello per papà. Si sono conosciuti picchiando­si». Prego?

«Papà si era inventato La Bussola on stage: un tour di artisti nei teatri. A fine serata c’era la passerella ma Gino disse: io non la faccio. Per mio padre era una mancanza di rispetto verso il pubblico e si sono menati. Poi però papà si mise a piangere, dispiaciut­o per aver tratto male un artista. Da lì sono diventati fratelli e lo sono stati per tutta la vita».

Anche Renato Zero si è spesso esibito su quel palco.

«Era la regina: ha dedicato a mio padre una lettera, poco dopo la sua morte. Simulava una telefonata con lui».

Tra i momenti più difficili, la contestazi­one del ‘68 che investì proprio La Bussola.

Carosone e le rose «Per convincere Carosone a esibirsi da lui inviava tutti i giorni rose a sua moglie»

«Esatto. Era stata mitizzata da chi identifica­va mio padre come il giullare dei ricchi. Lui che era nato partigiano e che mai aveva ceduto alle lusinghe politiche. La contestazi­one era stata pesante, ma mio padre era tosto: si era messo fuori, all’esterno, per difendere il suo locale. Diede anche una testata a un contestato­re che voleva aggredirlo. Lo incontramm­o anni dopo: fu lui a fermare mio padre e a mostrargli la cicatrice, dicendogli che aveva fatto bene». Rivalità con La Capannina? «Mai. Ogni tanto ci passava davanti per dire: guarda come è piena. La Capannina era il posto dove gli Agnelli andavano a fare l’aperitivo e sentire qualche orchestra, ma poi si spostavano alla Bussola per ascoltare Chet Baker, o Dario Fo, Gaber, Jannacci. Era come se papà avesse un suo libro di figurine degli artisti e li voleva tutti, ne era affamato».

Nel 1993 Sergio Bernardini è morto in un incidente.

«Aveva 68 anni. A quell’appuntamen­to sarei dovuto andare io. Diversi suoi amici mi hanno detto che non ce lo vedevano ad invecchiar­e. Ma rimane sempre qualcosa in sospeso. Anche grazie al documentar­io di Andrea Soldani, che ha tante testimonia­nze, sono convinto che se l’è goduta: ha avuto fino alla fine una sua visione da perseguire».

Una frase che le ripeteva?

«“Pancia a terra”. Ho anche ritrovato un biglietto in cui me lo aveva scritto: era certo che impegnando­si, i risultati sarebbero arrivati».

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Protagonis­ti Qui sopra Adriano Celentano a La Bussola di Marina di Pietrasant­a; a destra Sergio Bernardini con Fabrizio De André e Dori Ghezzi e, in alto, davanti al locale
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Mina e Sergio Bernardini: fu lui a lanciarla facendola cantare sul palco della Bussola. Erano grandi amici
Insieme Mina e Sergio Bernardini: fu lui a lanciarla facendola cantare sul palco della Bussola. Erano grandi amici

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