«Al cinema parlo di filosofia grazie alle avventure spaziali»
Dumont, regista di «L’empire»: un genere ideale per affrontare temi fatali
L’Impero colpisce ancora. Stavolta là dove meno te lo aspetti, in un borgo sperduto della Francia del nord, poche case, tante dune, pescatori bislacchi, gendarmi scalcinati, ragazzotte in gonnelline a fiori. Insomma, un posto dove non succede mai niente. Finché, a ravvivare quel cielo plumbeo come il mare, compaiono delle astronavi: nere, misteriose e minacciose, preludio a uno scontro galattico e terrestre senza precedenti. Con tanto di spade laser, cavalieri interplanetari, respiro asmatico di Darth Vader, una principessa in costume da bagno.
Se tutto questo vi fa pensare a Star Wars è perché Bruno Dumont, regista di L’empire, ha preso a prestito alcuni stilemi della saga di George Lucas per dar vita alla sua epopea del Bene e del Male in uno dei film più singolari, fascinosi, deliranti e divisivi, prossimamente sui nostri schermi.
Scelto dal Festival di Bellaria per aprire la sua 42ª edizione, «Il futuro è un mare antico», L’empire, Orso d’argento alla scorsa Berlinale, il 13 giugno uscirà nei cinema con Academy Two. «Le guerre stellari mi divertono ma a interessarmi è soprattutto la Space opera, genere ideale per affrontare le questioni fatali: l’esistenza dell’assoluto, l’origine e la fine del mondo, l’apocalisse… Domande impossibili da affrontare nella realtà dove tutto è confuso e intricato, mentre lo spazio è chiaro e profondo. Quindi, l’avventura spaziale al cinema è naturalmente filosofica», assicura il regista francese, ex professore di filosofia, attento ai temi cardine della vita dai tempi in cui il suo sconvolgente L’humanité vinse a Cannes il Grand Prix Speciale della Giuria.
Così, assodato che la fantascienza è la via migliore per la metafisica, Dumont parte per la sua odissea nello spazio tenendo fede alle mappe intergalattiche che la vogliono popolata di mostri e di eroi. La banalità sonnacchiosa del paesino del Pas-de-calais nasconde l’insidiosa banalità di un male che ha i tratti paffuti di un bimbetto biondo. Creatura temibile, destinata a diventare l’anticristo perché nato dall’unione tra una terrestre e un alieno. Una pratica in uso da quelle parti, dove molti umani, come nell’invasione degli ultracorpi, vengono presi in prestito dagli extraterrestri interessati più ai loro corpi che alle loro anime.
Apocalisse in vista? «Lo è da sempre, ci viene sventolata sotto il naso fin dall’inizio del mondo. È per questo che la vita e l’amore sono così eccitanti. Siamo sospesi sul baratro, è la suspense del nostro esistere».
Non resta che dire: la Forza sia con noi. Anche se la Forza, Guerre stellari docet, è arma a doppio taglio, dipende da chi la usa. E il combattimento continua. «Ma la lotta è vana.
Tra il Bene e il Male i confini non sono chiari, come del resto ambigui sono i sovrani dei due clan, gli Uno contro gli Zero, la Regina e Belzebù, che si sfidano dalle rispettive navi spaziali». Un castello e una chiesa ne ispirano le forme. «La Reggia di Caserta contro la Sainte Chapelle di Parigi. Simboli del potere laico e di quello religioso, gioielli dell’architettura, espressione del genio umano. La controparte della sua miseria».
A bordo del fastoso palazzo del Vanvitelli, apice del potere borbonico, troviamo Fabrice Luchini, imperatore degli Zero, folle e grottesco, in costume da pennuto che saltella e piroetta sulle note di Bach, versione jazz. Mentre nella cattedrale gotica volante c’è Camille Cottin che si è infilata la cuffia e la gorgera della Regina degli Uno. E le guerre spaziali di Dumont avranno il
Le domande L’assoluto, l’origine del mondo, l’apocalisse… Domande impossibili da affrontare nella realtà
loro degno epilogo. Lontana della parodia alla Mel Brooks, la comicità dell’autore francese, solo apparentemente demenziale, è il manifesto di una sua visione caustica e spietata di ogni confessione: «Alieni, supereroi e dei fanno parte della paccottiglia religiosa che da sempre rappresenta gli ideali degli uomini». Meglio restare sulla terra. Dove, dice la Regina, gli esseri umani sono «affettuosi e divertenti». «Per fortuna è spesso così. La vita umana ha davvero i suoi lati positivi».