Corriere della Sera

«Papà, deportato in Germania, salvò un amico ferito»

- Stefano Cimicchi

Mio padre Sante, da vicino Orvieto si spostò sul fronte francese e poi in Albania-macedonia. Dopo l’8 settembre (era del mitico 127 ° Reggimento di fanteria «Firenze», parte del quale si unì ai «titini») fu deportato in Germania a Wietzendor­f.

Da lì attraversò una serie di peripezie, giungendo alla fabbrica della Junkerwerk ad Halberstad­t e poi in una miniera di carbone a Iburg, di notte curava mucche da latte in una stalla.

Sto scrivendo un libro con le «mie» memorie, su come e in quale contesto papà mi raccontava questa pagina della sua vita.

Mio padre fu segnato non dalla guerra ma dalla prigionia! Non si staccò mai da quell’incubo e dall’asma che contrasse in quelle miniere. Fin qui non ci sarebbe niente di nuovo, ma la sua storia diventa particolar­e perché attraverso le foto e altre ricerche ho trovato tre testimoni tedeschi viventi. Sono le famiglie che lo sfamarono e forse anche un prigionier­o francese che, ogni tanto, gli elargiva le scorze di patate.

La storia è anche commovente perché quando abbiamo scoperto con i miei nuovi familiari tedeschi che avevamo le stesse foto, abbiamo pianto dalla commozione.

Dopo essere stati trattenuti dagli Alleati fino al settembre 1945, mio padre fu protagonis­ta del rientro con il suo amico di Crevalcore che, gravemente ferito, era rimasto solo. Le bande di italiani che tentavano il rientro non lo volevano con loro perché non poteva né rubare, né lavorare. Così mio padre fece squadra con lui, restarono in due. In questo modo riuscì a riconsegna­rlo alla sua famiglia.

Il lettore racconta la prigionia di suo padre in Germania e il rientro rocamboles­co con un amico gravemente ferito che riuscì a riportare in famiglia

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