Il documentario su Milva: diva tra fragilità e contraddizioni
La mia Milva è quella di «Flamenco Rock», ai tempi molto gettonata nel jukebox dei Bagni Umberto di S…: « Alle cinque della sera non c’è il toro nell’arena/alle cinque della sera sono a letto i matador/alle cinque della sera non si vede una mantilla/sui bastioni di Siviglia fanno rock/sì fanno rock».
La mia Milva è quella dei primi Festival di Sanremo, quella de «Il mare nel cassetto» e «Tango Italiano». La mia Milva è la «pantera di Goro» che incontra un raffinato intellettuale e regista della Rai, Maurizio Corgnati, che l’aiuta a uscire dal bozzolo e la trasforma in splendida farfalla (ma questo l’avrei saputo dopo, dai racconti di Carlo Fruttero, amico di casa Corgnati).
«Milva, Diva per sempre», il documentario diretto da Angelo Longoni e prodotto in collaborazione con Rai Documentari, racconta le mille vite dell’artista, a tre anni dalla scomparsa (Rai3).
Racconta soprattutto il percorso intellettuale che la cantante ha compiuto per diventare una star internazionale: dall’incontro con Giorgio Strehler, che la trasformerà in un’interprete brechtiana (il padre-padrone del Piccolo Teatro di Milano voleva che gli attori fossero una sua creazione, anche a scapito della noia) all’approdo alla Scala dove porta «La vera storia», un’opera in due atti di Luciano Berio su libretto di Italo Calvino (noiosetta anche questa).
Per fortuna Milva ha incontrato grandi artisti come Enzo Jannacci, Franco Battiato, Astor Piazzolla che le hanno permesso di esprimere tutte le sue enormi capacità interpretative. Il documentario è ricco di materiale di repertorio, di interviste, di interventi: da Massimo Gallerani a Vicky Schatzinger, da Cristiano Malgioglio a Pino Strabioli.
La parte più importante del racconto è affidata alla figlia Martina Corgnati (valente studiosa di arte, una passione ereditata dal padre), che ha collaborato alla sceneggiatura e ha soprattutto pubblicato lo scorso anno una densa biografia della madre «Milva, l’ultima diva».
Curiosamente, i momenti più intensi del doc son quelli in cui appaiono le fragilità, le contraddizioni, le affinità dell’artista riscontrabili nel «conscio collettivo».