Accorsi e Ramazzotti: l’identità immobile dei personaggi
Ormai esiste un genere su cui varrebbe la pena riflettere: l’autorecensione a beneficio della rete. Dopo aver visto i primi quattro episodi di «Un amore» (sei in tutto), sono andato a leggermi le note di presentazione della serie creata da Stefano Accorsi (da un’idea di S.A.) e da Enrico Audenino, diretta da Francesco Lagi e interpretata da Micaela Ramazzotti e dallo stesso Accorsi. Conosco le regole della promozione, ma ormai viviamo un’epoca in cui il contesto vale più del testo, che spesso non viene neanche capito.
La storia è questa: i giovani Alessandro (Luca Santoro) e Anna (Beatrice Fiorentini) si conoscono casualmente durante un viaggio Interrail in Spagna e si innamorano subito. Negli anni restano legati da un intenso rapporto epistolare (poi via mail), senza riuscire mai a trovare il coraggio di vedersi (anzi, il patto è di non vedersi mai per preservare la purezza letteraria del loro amore). Tuttavia, a vent’anni dal loro primo incontro e ormai adulti, si ritrovano a Bologna e qui la fiaccola sotto il moggio si scrolla da dosso la cenere.
Un’operazione così delicata, così incentrata sui sentimenti, fatica a reggere la cadenza della serialità. Era una buona idea per un film, se solo ci fossero grandi interpreti. Nell’autorecensione siamo di fronte al capolavoro: «È la storia dell’elaborazione di questo incontro, di come impatta su di loro, dello stupore e dello stridore, delle conseguenze sulle loro vite. L’amore che raccontiamo è un amore mai vissuto realmente, per questo pronto per essere vissuto in pieno, che non si è mai logorato e che non ha mai subito le frustate del tempo. Un amore di molti anni, fatto solo di parole, di lettere spedite e ricevute, di attese e di conferme, di suggestioni e di sentimenti raccontati». Verrebbe da dire: ma dove, ma quando?
Lo sforzo di regia è apprezzabile nell’incrociare le storie di Anna e Alessandro nelle due diverse età, nel mescolare elementi visivi diversi (materiali di repertorio e filmati di famiglia), nel cercare di non cedere al sentimentalismo, ma il problema vero è la recitazione. L’identità dei personaggi è immobile, le gestualità e le torsioni sono piccoli spasimi, le complicità solo sorrisini carezzevoli da selfie.