«Le democrazie sono deboli per questo voterò l’elezione diretta Dopo la crisi Europa più unita»
Tremonti: da un male come le guerre potrà venire un bene
«Non ha torto» Sabino Cassese quando sul Corriere scrive come le democrazie occidentali — i loro processi decisionali, la rappresentanza delle rispettive istituzioni, la partecipazione alla vita politica — oggi presentino un quadro «sconfortante». Giulio Tremonti, presidente della commissione Esteri della Camera e di Aspen Italia, oggi deputato eletto con Fratelli d’Italia, condivide. Come condivide anche, a questo proposito, la scelta del governo di fare un passo avanti deciso in direzione dell’elezione diretta del premier: «Già nel 1999 io e Urbani scrivemmo che i tempi erano maturi per passare a un cancellierato alla tedesca. Oggi, 25 anni dopo, va bene il modello del premierato. Io alla Camera lo voterei, come è stato presentato in Senato».
Tremonti lei ha quindi una visione pessimistica dei possibili sviluppi delle democrazie continentali?
«No, al contrario. Da un male — come è quello che stiamo vivendo oggi con le crisi internazionali e le guerre e una serie di novità che irrompono sulla scena quasi ingovernabili — può venire un bene. Come è stato dall’inizio nella storia dell’Unione europea. Prima una fase eroica, Ventotene, poi il Trattato di Roma, tutto è arrivato dopo la guerra. Sono stati straordinari atti di coraggio. L’Italia aderì alla Ceca senza avere acciaio e carbone, perché c’era un’idea comune. E anche oggi io penso che l’Europa come entità più forte e unita possa essere la via d’uscita all’impasse del sistema. Paradossalmente, anche stavolta “grazie” a guerre ed enormi problemi».
La debolezza delle democrazie, la divisione interna, le crisi sempre più frequenti, la frammentazione del quadro politico, i governi in difficoltà sulle decisioni: lei come spiega quello che sta accadendo?
«Nel ’800 e poi nel ’900 chi si presentava alle elezioni lo faceva per governare problemi governabili, in gran parte di carattere interno e dovuti a fattori interni e veniva giudicato sulla base di programmi più o meno realizzabili. Ora è cambiato tutto».
Perché?
«Perché c’è stato l’ingresso sulla scena di problemi che vengono da fuori: le grandi migrazioni, le mutazioni climatiche, la finanza globale, le macchine ruba-lavoro, l’intelligenza artificiale. Se negli anni ’90 di fronte all’irrompere della globalizzazione si pensava — sbagliando — che il mercato fosse la soluzione di tutto, oggi non è più così. Finita l’utopia, le politiche nazionali entrano in crisi e le forze politiche tendono a frammentarsi problema per problema. Tentano risposte diverse a singole questioni, con massima frammentazione. Proprio mentre parliamo, in Italia nascono liste “per la pace”, nel Nord Europa di difesa delle etnie, in una fase si sono diffuse le forze no vax. Risposte a singoli temi che agitano l’opinione pubblica».
Una crisi senza soluzione?
«No, io resto ottimista. Primo, perché ho profonda fiducia nei sistemi democratici: non ce ne sono di migliori. Secondo, perché si può far ricorso a un livello decisionale più alto, ed è quello europeo».
Ma anche l’istituzione europea oggi sembra soffrire.
«Vero. Stiamo vedendo il Palazzo di Bruxelles assediato da fuori dai trattori, bocciato dagli ambasciatori dei singoli Paesi. È un fatto che l’Ue si è via via sviluppata come uno sconfinato e misterico “palazzo”, oggi esteso su 1.292.601 pagine di Gazzetta Ufficiale, lungo 383,9 chilometri lineari. Qualcosa di incomprensibile».
Quindi come può l’Europa così in difficoltà dare risposte alla crisi delle democrazie?
«Non tutto è stato negativo, attenzione. L’Euro è stato un grandissimo passo, come lo sono stati i vaccini in pandemia e poi gli Eurobond, sui quali forse avrei dovuto mettere il copyright quando li proposi nel 2003... Ma è vero che non basta ancora. L’Unione non è ancora sufficientemente attrattiva rispetto alle crisi democratiche nazionali».
Come può diventare attrattiva proprio nel momento di massima difficoltà del sistema mondiale?
«Paradossalmente, ma fatalmente, è oggi la guerra sui nostri confini che da ovest a est unirà e salderà l’Europa in una nuova entità politica e democratica, una nuova casa per stare insieme in nome di un comune superiore interesse. Anche solo l’idea di un disimpegno dell’America dalla Nato, dal fronte europeo imporrà necessariamente un nostro ripensamento sulla politica estera e sulla difesa comune. Oggi la Francia ha l’atomica e un seggio da membro permanente all’Onu. Dovrà essere l’Europa nel prossimo futuro ad avere questo ruolo».
Il sì al premierato
Già nel 1999 io e Urbani eravamo per il cancellierato alla tedesca Ora bene il premierato