Leader africani a Kiev sotto i missili Putin: atomiche già in Bielorussia
Attacco durante la visita della delegazione, che oggi sarà a Mosca. Il nodo dell’intesa sul grano
«L’instabilità in questa BUCHA parte di mondo è l’instabilità in ogni parte del mondo…». Hakainde Hichilema non fa in tempo a finire la frase, mentre guarda le fosse dei morti dissepolti intorno alla chiesetta di Sant’Andrea, e subito partono le sirene d’allarme. Missili in cielo. Due armadi della sicurezza sollevano di peso il presidente dello Zambia e lo trascinano su un van nero. Via da Bucha! Via lui e via i presidenti di Sudafrica e Senegal, Egitto e Comore. Tutti via veloci. La missione Road to Peace è subito una strada impervia: dalla Russia piove con violenza il peggiore attacco su Kiev delle ultime settimane, dodici fra cruise Kalibr e ipersonici Kindhal quasi annullati dalla contraerea, sette feriti e tre case distrutte; dall’Ucraina, arriva un deciso «no, grazie» alla pax africana che proponeva quattro semplici punti (ritiro di truppe russe e di atomiche dalla Bielorussia, alleggerimento delle sanzioni e nullaosta penale per Putin) e chiedeva qualcosa di più d’un po’ di buona volontà.
Niente da discutere: la delegazione africana va da Zelensky e sarà oggi a Mosca, ma dal benvenuto ha già capito chiaro e forte di che guerra si tratti. «Possiamo distruggere qualsiasi edificio nel centro di Kiev», tuona il leader del Cremlino. «Putin dimostra di non rispettare nemmeno la sicurezza dei leader stranieri», gli risponde Andriy Yermak, consigliere del presidente ucraino, che del resto l’aveva già visto coi missili tirati sulle visite di Biden e del segretario Onu, Guterres: «A lui non importa nulla. Si sente totalmente impunito».
Mission impossible. I primi a crederci poco o punto sono i sei leader africani. Che già nella sosta a Varsavia vengono stoppati 26 ore dalla diffidente sicurezza polacca («razzisti!»). E sanno benissimo di non venire a negoziare una pace, ma almeno l’accordo sul grano che scade il 17 luglio e che Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo, già si chiede come possa «essere esteso, se non funziona?».
Un anno fa, lo sblocco turco delle navi sul Mar Nero salvò il Continente africano dalla fame. Stavolta, a guidare la delegazione da Putin c’è soprattutto Cyril Ramaphosa, presidente sudafricano e neutrale, che gli americani accusano in realtà di fornire aiuti a Mosca: a Johannesburg si terrà il prossimo vertice dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) e «l’impunito» Putin non potrà presentarsi, rischiando l’arresto internazionale per crimini di guerra. Così, ecco che la missione africana serve soprattutto a un’exit strategy: d’accordo con Xi Jinping, il summit potrebbe essere trasferito a Pechino, dove la Corte dell’Aja non è riconosciuta.
«Non abbiamo mai rifiutato il dialogo», dice lo Zar, più o meno alla stessa ora dei missili sui presidenti africani: secondo la Bbc avrebbe perso almeno 25 mila soldati, molti più di quanti ne dichiari, eppure dal Forum di San Pietroburgo elenca i 186 tank e i 418 blindati distrutti al nemico, raccontando d’una Russia «per nulla isolata», avvertendo che la prima tranche d’armi nucleari è stata consegnata alla Bielorussia e che «potremmo colpire anche fuori dell’Ucraina le basi che le forniscono gli F-16». Dice ai suoi che bisogna darci dentro. E che non solo i mercenari saranno premiati come si deve: 550 euro a chi distrugge un blindato nemico, 1.100 per un tank, 3.300 per un aereo. Rubli a pioggia, come i missili.