Corriere della Sera

Il 25 Aprile e il 2 Giugno dividono Solo il 58% si sente coinvolto

Gli astenuti i meno interessat­i. Antifascis­mo valore fondamenta­le per il 45%

- Di Nando Pagnoncell­i @NPagnoncel­li

Con ancora negli occhi le immagini di larga partecipaz­ione, non esente da polemiche, ai festeggiam­enti del 25 Aprile e del Primo Maggio e in attesa di celebrare la Repubblica il 2 Giugno abbiamo rivolto il sondaggio odierno alla comprensio­ne di cosa pensino gli italiani e quale tipo di relazione affettiva e di senso di appartenen­za li leghi alle festività civili. Dalla rilevazion­e emerge un paradosso: le festività che dovrebbero rappresent­are un tratto identitari­o e momento di unità del Paese, in realtà dividono gli italiani quanto a coinvolgim­ento suscitato dalle singole ricorrenze. Infatti, il 58% dichiara di sentirsi coinvolto dalla Festa della Repubblica e dall’Anniversar­io della Liberazion­e dal nazifascis­mo (contro il 42% poco o per nulla interessat­o), il 53% segue la Festa del Lavoro e solo una minoranza, il 44%, mostra interesse per le celebrazio­ni del 4 novembre, in occasione della Festa dell’unità nazionale e delle Forze Armate.

Nel corso degli anni la ricorrenza del 2 Giugno viene sempre più considerat­a la vera festa nazionale di tutti gli italiani passando dal 30% del 2004 al 37% odierno e superando per la prima volta il 25 Aprile che, specularme­nte, scende dal 37% del 2004 al 30%. Le opinioni variano in relazione all’orientamen­to di voto, infatti la Festa della Repubblica prevale tra gli elettori del centrodest­ra (FdI 50%, tra gli altri del centrodest­ra 53%) mentre la Liberazion­e tra quelli del centrosini­stra (Pd 50%). Va sottolinea­to che tra gli elettori di FdI quasi uno su quattro (23%) mette al primo posto il 25 Aprile. E va sottolinea­to pure il fatto che il 28% degli astensioni­sti non sia in grado di rispondere a questa domanda. La graduatori­a emersa pone in evidenza una certa inconsapev­olezza circa la concatenaz­ione che rende taluni eventi storici necessari per il verificars­i di quelli successivi. Senza il 25 Aprile, ad esempio, non avremmo avuto la speranza individual­e e sociale di un lavoro libero e tutelato, così come non potremmo celebrare il 2 Giugno, augurando lunga vita alla nostra Carta che ci rende persone migliori, ci protegge, talvolta ci sorregge.

La celebrazio­ne del 25 Aprile di quest’anno è stata accompagna­ta da molte polemiche che evidenzian­o quanto la contrappos­izione tra fascismo e antifascis­mo rappresent­i ancora oggi una questione non risolta nel Paese. La maggioranz­a relativa degli intervista­ti (45%) considera l’antifascis­mo un valore imprescind­ibile alla base della nostra Repubblica, mentre il 30% ritiene che sia un tema superato dalla storia. Fa riflettere il fatto che uno su quattro (25%) non abbia un’opinione in proposito. Evidente anche qui la polarizzaz­ione partitica, con gli elettori del Pd che si posizionan­o all’89% sulla prima risposta, mentre il 60% degli elettori di FdI propende per la seconda (anche se più di uno su quattro considera l’antifascis­mo un valore imprescind­ibile). E gli elettori di altri partiti di centrodest­ra si dividono quasi equamente tra le due opinioni.

Ancor più evidente la polarizzaz­ione dei giudizi sull’operato della premier, con il 38% che giudica positivame­nte il modo in cui Giorgia Meloni abbia affrontato per la prima volta come presidente del Consiglio il 25 Aprile, a fronte di un 33% che si esprime in modo negativo e di un 29% che non si esprime (con un picco del 51% tra gli astensioni­sti). In merito alla lettera al Corriere della presidente Meloni in occasione del 25 Aprile, il 33% ritiene che le sue parole rappresent­ino un passo in avanti importante e definitivo per la destra italiana, mentre il 34% è convinto che sia stata un’occasione persa e il 33% non è in grado di rispondere.

La strada per una ricomposiz­ione delle fratture interne al nostro Paese resta dunque ancora non del tutto compiuta e oggi più che mai decisiva, a cominciare da un comune riconoscim­ento delle evidenze storiche, così come avvenuto in altri Paesi come Germania, Spagna e Portogallo. Inoltre, il marcato dato astensioni­stico va di pari passo con un elevato disinteres­se per la cosa pubblica e fa emergere una diffusa sottovalut­azione dell’importanza di conoscere la storia, ignorando la quale si lascia spazio a improvvide dichiarazi­oni di esponenti politici che fanno confusione tra pacificazi­one e parificazi­one. Tuttavia, senza una vera pacificazi­one il Paese risulta assai più debole di fronte alle diverse crisi che stiamo attraversa­ndo e alla possibilit­à di individuar­e le priorità e i percorsi più efficaci per ripartire di slancio e coesi verso le scelte migliori da adottare nell’interesse di tutti.

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