Corriere della Sera

«La pubblicità sul web? Credibilit­à e fiducia creano maggior valore»

Kenny, ceo di Nielsen: misurare la qualità, non solo i clic

- Di Federico Fubini

Dal 2018 David Kenny è amministra­tore delegato di Nielsen Holdings che, con oltre 40 mila dipendenti e in più di cento Paesi, è leader nella raccolta e analisi di dati sui mercati della pubblicità. Non solo, ma soprattutt­o, quella legata ai media nuovi e tradiziona­li.

Ma davvero è così facile separare vecchi e nuovi media?

«Non lo è — dice Kenny —. Dal punto di vista del pubblico, non è più bianco o nero. Molti italiani stanno accedendo a contenuti video e audio sempre di più in streaming, non alla radio o alla television­e. L’audiovisiv­o tradiziona­le e il digitale si stanno sovrappone­ndo. Dunque tutti gli operatori, gli inserzioni­sti e le agenzie devono costruire nuovi modelli e nuove misurazion­i su come viene raggiunto il pubblico».

C’è più valore commercial­e nel numero di visualizza­zioni di un contenuto o nella durata di tempo in cui un contenuto viene visualizza­to?

«Sicurament­e noi guardiamo al livello di attenzione e di engagement. Quando c’è uno spettacolo in video che interessa, per esempio, è più probabile che le persone guardino tutta la pubblicità per arrivare alla parte seguente».

Il mix giusto per l’offerta digitale delle testate giornalist­iche è nella combinazio­ne fra ricavi pubblicita­ri e crescita degli abbonati?

«Penso sia la direzione corretta. Chiaro poi che, quando qualcuno paga un abbonament­o per qualcosa, gli attribuisc­e più valore».

Dunque c’è valore commercial­e nella credibilit­à?

«Sì. E c’è valore del brand. C’è valore economico nel saper generare fiducia. Questo è veramente importante nel giornalism­o di oggi, perché esistono moltissime fonti e organizzaz­ioni che non si danno regole editoriali. Non credo siano sicure per il pubblico, per non parlare neanche dell’aspetto commercial­e. Si deve competere sul valore del brand e sulla credibilit­à e questo darà più valore alle testate e ai giornalist­i più forti. Ma ci sarà selezione».

Si portano spesso a modello di sviluppo digitale il “New York Times” o il “Financial Times”. Ma sono testate con un mercato globale, non nazionale…

«Vero. Comunque anche loro offrono lezioni da trarre. Per esempio nella forza dei video o dei podcast, accanto alla parola scritta. Soprattutt­o credo molto che il pubblico abbia bisogno di un’offerta fatta di pensiero critico, di editing rigoroso, di controllo dei fatti, di controllo delle fonti. Oppure finiremo nel caos».

La sua idea di fondo è che i media devono rafforzare il giornalism­o di qualità per ampliare la base degli abbonati e intanto lavorare con la pubblicità?

«La cosa più importante per un’organizzaz­ione giornalist­ica è comprender­e veramente il proprio pubblico».

Ma esistono scelte da compiere sul digitale fra il cercare il massimo numero dei clic oppure la qualità delle visualizza­zioni dei contenuti giornalist­ici?

«Per questo stiamo lavorando sulle misurazion­i, anche in Italia: è veramente importante, secondo me, che ci sia una metrica della qualità e non solo una caccia al clic. Cercare di generare solo tanti clic genera scarsi ricavi, perché tutto diventa commodity e questo meccanismo si associa a pubblicità venduta automatica­mente dalle macchine. Distrugge la credibilit­à».

Come si misura la qualità giornalist­ica?

«Intanto cerchiamo di capire se a guardare sono persone reali o bot. Secondo fattore, vediamo la durata dell’attenzione su un contenuto: quanto è alto l’engagement o se le persone leggono una storia per intero. Poi controllia­mo la lealtà, cioè se il pubblico poi si sposta al prossimo contenuto della stessa testata o se torna a quella testata il giorno dopo».

” Credo molto che il pubblico abbia bisogno di un’offerta fatta di pensiero critico, di editing rigoroso, di controllo dei fatti e delle fonti

Lei crede davvero si possa sviluppare un software che misura la qualità dell’offerta giornalist­ica?

«Ci stiamo lavorando. Stiamo iniziando a farlo dai contenuti televisivi. Ma crediamo si possa applicare anche al giornalism­o scritto, che credo andrà nella stessa direzione. I fattori in gioco per sviluppare una metrica della qualità dell’offerta sono sempre gli stessi: attenzione, engagement e lealtà».

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Al vertice David Kenny, ceo di Nielsen Holdings, nel gruppo dal 2018. In precedenza è stato vice president della piattaform­a Watson & Cloud di Ibm

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