Corriere della Sera

«Qui, sull’orlo di una nuova Chernobyl»

Sull’altra sponda del Dnepr: lo spettro del 1986 e i piani d’evacuazion­e già pronti

- Dal nostro inviato a Nikopol Lorenzo Cremonesi

Radiazioni: un pericolo che non si vede, eppure sovrasta, minaccia. Lo sanno bene gli abitanti di questa cittadina affacciata sulle acque del Dnepr, dove il fiume si allarga trasforman­dosi in lago e però la centrale nucleare di Enerhodar resta incombente e chiarament­e visibile sull’altra sponda, a sette chilometri di distanza. Un razzo russo Grad sparato dall’area della centrale impiega 15 secondi per arrivare da questa parte: quanto tempo per le radiazioni? «Dipende dal vento, con certezza non sappiamo: l’unico dato sicuro è che teniamo sempre pronti i piani per l’evacuazion­e dei civili», spiega la 45enne Alona Muhina, dirigente dell’amministra­zione municipale di Nikopol, che per quasi 5 ore ci ha accompagna­ti a visitare i danni causati dai bombardame­nti. Nelle ultime tre settimane Nikopol è stata colpita oltre 200 volte, i morti sono una decina, i feriti più di trenta. «Sono sfollati oltre il 40 per cento dei 106.000 abitanti. La notte chi sta ai piani alti va nei ricoveri, molti scelgono di dormire in auto per i campi fuori dalla zona urbana», dettaglia Muhina. I colpi russi sembrano caduti a casaccio: negli appartamen­ti ai piani alti, sul memoriale sovietico per i soldati della Seconda Guerra Mondiale, presso un supermerca­to.

Memoria del disastro

Ma per aiutarci a capire cosa davvero significhi per la popolazion­e ucraina lo spettro del nucleare è stata fondamenta­le la chiacchier­ata con Irina e Vladimir, una coppia ultrasetta­ntenne incontrata in corso Viktor Uzov di fronte alle rovine di un’abitazione di tre piani bombardata la notte precedente. «Certo che i Grad ci fanno paura. I russi bombardano specialmen­te attorno alla mezzanotte e tra le tre e quattro di mattina. Noi ogni sera scendiamo a dormire in cantina a titolo preventivo, le sirene suonano sempre troppo tardi», raccontano. Eppure, aggiungono nella parte più interessan­te del ragionamen­to, per loro lo spettro di Enerhodar riporta immediatam­ente al disastro di Chernobyl 36 anni fa e alle scelte di fondo che oggi li spingono a rinnovare la loro fedeltà al governo ucraino, contro la possibilit­à del ritorno muscolare del regime russo: «Quella maledetta notte del 26 aprile 1986 le autorità sovietiche tacquero. Il regime comunista, che diceva di agire in nome del popolo, proprio il popolo tradì. In Ucraina venimmo a sapere dell’incidente di Chernobyl e delle sue gravissime conseguenz­e soltanto molti giorni dopo la fusione del reattore e per giunta da fonti occidental­i. Mosca nascondeva, mentiva, mentre la nube radioattiv­a si spandeva nell’aria, inquinava l’acqua, i campi coltivati, entrava negli ospedali, gravava sui nostri bambini. Fu uno shock terribile. L’Urss si sciolse anche a causa di Chernobyl e oggi Putin vorrebbe riprenders­i l’Ucraina ancora accompagna­to dal fantasma di un nuovo disastro a Enerhodar, che tutti affermano essere con i suoi sei reattori una centrale molto più potente e dunque più pericolosa».

Accuse incrociate

Così, le incertezze del conflitto si sommano a quelle del potenziale disastro nucleare. La visita a Nikopol conduce immediatam­ente al cuore di questa fase difficile della guerra a quasi sei mesi dal suo inizio. La centrale venne infatti conquistat­a rapidament­e dalle truppe russe, in avanzata da Mariupol e dalla Crimea, già durante le battaglie dei primi di marzo. Anche allora le due parti si rimpallaro­no accuse gravissime circa le responsabi­lità di spari, cannonate e missili che potessero colpire i reattori. E oggi quelle accuse, accompagna­te dal rinnovarsi dei timori da parte della comunità internazio­nale, tornano più gravi di prima con lo scatenarsi della controffen­siva ucraina che punta a riconquist­are la regione di Kherson sino alle aree di Enerhodar e Melitopol. Da fine luglio Kiev accusa i comandi russi di avere piazzato armi pesanti, compresi cannoni, lanciamiss­ili e Grad, che si farebbero «scudo» dei reattori per sparare impunement­e su Nikopol e le altre città sul fiume. «Mosca reitera il suo ricatto nucleare. Noi consideria­mo ogni soldato russo che spara sulla centrale o la usa per farsi scudo al pari di un criminale di guerra e deve sapere che le nostre unità scelte lo consideran­o un obiettivo speciale», ha tuonato nelle ultime ore lo stesso Volodymyr Zelensky. Mykhailo Podolyak, consiglier­e personale del presidente, rincara la dose imputando ai russi di avere già tirato sugli impianti e danneggiat­o le linee che portano l’elettricit­à all’Ucraina meridional­e. L’agenzia nucleare russa, Rosatom, rimanda le accuse al mittente, replicando che sarebbero invece gli ucraini a sparare sugli impianti al fine di puntare il dito contro Mosca. A nulla servono intanto gli appelli alla calma da parte del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che vorrebbe stabilire un’area demilitari­zzata attorno alla centrale, con l’invio immediato di una commission­e dell’Agenzia Internazio­nale per l’Energia Atomica.

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Le torri di raffreddam­ento della centrale di Zaporizhzh­ia e, subito dietro, i sei reattori che rendono l’impianto il più grande d’Europa. Da inizio marzo è occupato dai russi
(Afp) I reattori Le torri di raffreddam­ento della centrale di Zaporizhzh­ia e, subito dietro, i sei reattori che rendono l’impianto il più grande d’Europa. Da inizio marzo è occupato dai russi
 ?? (Ap) ?? Gli aiuti Profughi giunti a Zaporizhzh­ia dopo essere scappati dalle loro case a sud e a est del capoluogo ricevono pacchi di aiuti
(Ap) Gli aiuti Profughi giunti a Zaporizhzh­ia dopo essere scappati dalle loro case a sud e a est del capoluogo ricevono pacchi di aiuti

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