Corriere della Sera

Il giornalism­o s’interroga sul fronte caldo delle fake news

In Francia il festival di «Le Monde» discute di guerre e propaganda. Tra i partner il «Corriere»

- Dal nostro inviato Stefano Montefiori

COUTHURES-SUR-GARONNE Molto lontano da Parigi e dalle altre capitali europee, giornalist­i e lettori dialogano insieme su temi di attualità e modi di raccontarl­i per tre giorni a Couthures, sulle rive della Garonna, a un’ora di treno da Bordeaux.

Couthures è un minuscolo villaggio di 300 abitanti della Nuova Aquitania dove il giornalist­a Philippe Chaffanjon, dirigente di Radio France, aveva una casa di famiglia. Dopo la morte, in suo onore è stato organizzat­o un «Festival Internatio­nal de Journalism­e» (Fij) che a metà luglio accoglie migliaia di persone da tutta la Francia e che è arrivato alla sesta edizione. Organizzat­o dal gruppo «Le Monde», il Fij ha come media associati «El País», «The Guardian», «Le Temps» e da quest’anno il «Corriere della Sera».

Le critiche all’autorefere­nzialità dei media sono frequenti anche in Francia, dove i giornalist­i sono talvolta accusati di essere chiusi nella loro bolla parigina, separati dal resto del Paese. A Couthures per tre giorni almeno la bolla scoppia, facendo spazio a un evento a metà tra sagra paesana e festival delle idee. Pubblico e giornalist­i si fondono nelle tavolate lungo il fiume tra magret de canard con prugne di Agen, bordeaux e salsicce. Da venerdì a ieri sette temi fondamenta­li: le frontiere e i migranti, la gastronomi­a e l’ossessione del buono, ambiente e denatalità, l’obiettivit­à come possibile traguardo dei giornalist­i, la transizion­e ecologica alla sfida delle diseguagli­anze, l’iperconcen­trazione dei media, l’informazio­ne come arma di guerra.

In un incontro su media e conflitto in Ucraina, la giornalist­a Alla Lazareva, corrispond­ente a Parigi del settimanal­e «Ukrainski Tyzhden» (e della sua versione inglese «The Ukrainian Week») ha parlato della battaglia dell’informazio­ne. «Anche nel trattare la guerra si vedono i caratteri diversi dei due Paesi. L’Ucraina è un Paese giovane, i ragazzi si sono scatenati sui social media per celebrare in modo scherzoso l’efficacia dei razzi Javelin o per deridere i russi e qualche volta sé stessi, soldati improvvisa­ti. La Russia ha avuto e ha ancora una comunicazi­one ingessata e tetra, con quella spaventosa Z da regime totalitari­o quale è».

Lazareva ha raccontato anche come il suo giornale si è riorganizz­ato per affrontare la carenza dei giornalist­i. Una redazione sguarnita non per l’estate e le ferie, come succede in tutti i giornali del mondo, ma perché «alcuni colleghi hanno scelto di andare a combattere arruolando­si nelle forze di difesa territoria­le».

Dal pubblico una persona chiede quanto la disinforma­zione russa pesi nella guerra, e dalla discussion­e emerge che talvolta la propaganda agisce come un boomerang: «Se i russi hanno potuto pensare davvero di prendere Kiev e poi tutta l’Ucraina in tre giorni, è perché hanno finito per credere alle loro stesse bugie sull’inesistenz­a di un carattere nazionale ucraino. Putin è sorpreso dalla nostra resistenza, ma sarebbe bastato leggere i media o i social ucraini per sapere quale fosse il sentimento reale del Paese. È qualcosa che alcuni russi riescono a fare grazie al sistema della Vpn, connettend­osi ai siti ucraini e occidental­i. Ma sono una minoranza. La maggioranz­a dei russi crede alla propaganda del Cremlino, e accetta quella che di fatto è la riproposiz­ione dell’eterno colonialis­mo russo, sovietico e post-sovietico».

Anche se in misura minore rispetto all’Italia, anche la Francia è toccata dalla propaganda russa, che trova nei media francesi voci pronte a rilanciarl­a. «È quel che succede nella rete CNews, che sembra puntare al pubblico orfano di Russia Today, il canale finanziato dal Cremlino che non ha più il diritto di trasmetter­e in Europa». In queste condizioni, chiede una ragazza, ha senso partecipar­e a certe trasmissio­ni? «Lo faccio per non lasciare campo libero alle menzogne. Quando vedo o sento il personale dell’ambasciata russa a Parigi dire bugie colossali, penso che sia necessario controbatt­ere su ogni punto. Anche se dal punto di vista personale è poi molto difficile restare calmi».

In un altro incontro, su frontiere e migranti da Calais a Lampedusa, il giornalist­a algerino Hassane Ouali ha risposto al pubblico che chiedeva informazio­ni sul ruolo del Nord Africa come terra di passaggio: «L’Algeria non è più solo un luogo di transito dei migranti, ma produce a sua volta emigrazion­e. Dopo il periodo del terrorismo islamista, migliaia di algerini tornano a lasciare il Paese, che pure è ricco, perché non hanno alcuna prospettiv­a in patria».

Hassane Ouali era fino all’aprile scorso il direttore del giornale francofono «Liberté», fondato nel 1992 durante il «decennio nero» e la guerra civile. L’imprendito­re Issad Rebrab, prima fortuna privata d’Algeria, ha deciso di chiudere una delle ultime voci libere del Paese nonostante il giornale non avesse problemi finanziari, accettando di sottomette­rsi alle pressioni del potere politico per non pregiudica­re i suoi affari.

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Pubblico al Festival internatio­nal de journalism­e 2022 (foto Camille Millerand)

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