Un cinema al servizio dell’idea di progresso Così Nelo Risi annodò poesia e documentario
La testimonianza (di celluloide) del regista
Ci sono molti registi italiani famosi, come Ermanno Olmi e Nelo Risi che, prima di dedicarsi al cinema narrativo, si sono esercitati sulle fatiche quotidiane, sulle imprese industriali, sul lavoro dei cantieri e delle dighe, su quel cinema antropologico che negli anni 60 fu il risultato di una idea di progresso che passava attraverso l’industrializzazione e la modernizzazione a cui non si poteva rinunciare, era nel Dna. Prova ne siano la Torre Velasca, quella del Vedovo della Valeri e Sordi, e il Pirellone, che Bianciardi voleva far saltare in aria nella Vita agra di Tognazzi, che sono i primi esempi architettonici di una città in movimento verso le archistar. Olmi, impiegato nel reparto documentari della Edison, girò per la società 20 cortometraggi tra il 1953 e il 1961; e così Nelo Risi, regista, poeta, psicanalista, lodato da Montale sul «Corriere» nel ’57, anch’egli milanese, fratello del popolare Dino del Sorpasso (come lui liceale al Berchet) e marito, dal ’66, della scrittrice Edith Bruck, prima di girare dieci film tutti da rivedere, si esercitò nel documentario, che non abbandonerà mai. Due i brevi film girati nel ’58 per la AEM milanese (ora è A2A), L’acqua equivale a energia e Un fiume di luce, in cui spiega e racconta il lungo viaggio dell’energia elettrica tra montagne e dighe del fiume Adda, coi suoi laghi artificiali, fino alla milanese Piazza della Scala che si accese di luce elettrica per la prima volta tra gli oh di meraviglia della borghesia illuminata (stavolta senza metafora) la calda sera del 5 agosto 1883 e poi per l’inaugurazione di santo Stefano di quell’anno, alla prima della «Gioconda», si accesero 2.450 lampadine. La famiglia Visconti di Modrone era la più illustre rappresentante dei palchettisti e il conte regista Luchino, nato nel 1906, ricordava spesso che alla sera, quando s’illuminava il teatro del Piermarini, subito le luci si abbassavano nella sua casa di via Cino del Duca 8, ma a quella penombra era molto riconoscente. I due film del giovane Risi sono redatti con le informazioni sulla AEM di allora e dei suoi 350.000 utenti milanesi del ’58 che «spendevano» un miliardo di kilowattora e aveva a libro paga 2.200 dipendenti. Si mostra il tragitto, oggi si direbbe la filiera, dell’energia che parte dai ghiacciai e arriva all’ultima destinazione, merito di quell’acqua che oggi, con la siccità, è il più grave problema. Puntellando il film con pianoforte e musica un po’ jazz di Potenza, scegliendo anche parti in cartoni animati con i disegni di Mino Maccari, Risi ci mostra anche, ma abbassando la grancassa, la retorica del progresso, inevitabile prefazione al boom che verrà, ché indietro non si torna. Non era proprio la Luce una delle protagoniste del Ballo Excelsior che annunciava l’era moderna? Naturalmente, tenendo saldi i principi morali, quelli del lavoro, della costanza, del volgere delle stagioni, insomma le Opere e i giorni, nobili fatiche quotidiane spiegate dal poeta greco Esiodo già nell’VIII secolo a. C.. Alla fine del suo film Risi inquadra un contadino in montagna che saluta la luce della giornata che va a morire, e si fa il segno della croce, per raccontarci in religiosa semiologia, la poesia del lavoro.