Un profumo per gli 800 anni
Per la prima volta nella sua storia, l’Officina di Santa Maria Novella (che inventò un’acqua per Caterina de’ Medici) crea un’essenza «È un omaggio a Firenze»
Catturare un’emozione o un ricordo e racchiuderli in un profumo sembra semplice. Ma non lo è, per niente. A cominciare dalle parole che si usano. Lo si capisce solo ascoltando Gian Luca Perris, uno dei pochi «nasi» italiani, che ha realizzato per l’Officina di Santa Maria Novella il primo profumo di una storia che è lunga ottocento anni: «L’iris». Quando comincia parlare Perris la butta lì: «Se le dico “vorrei che mi preparasse una base che sappia di terra... o d’aria, o che odorasse di cielo blu a maggio” cosa le verrebbe di propormi?». E in un attimo è già un altro mondo. All’inizio un po’ spiazza: «Ho cominciato a comporre molto tardi, dopo anni e anni di ricerche — già, «comporre» dice Perris, dell’omonima azienda profumiera di Montecarlo, che non ha così studiato nelle prestigiose scuole di Grasse o Parigi, ma sul campo —. Ho catturato odori ovunque, nel mondo e ora posso dire di avere una biblioteca olfattiva molto ricca. Se sono un “olfatto assoluto”? Non è come nella musica, no. Ma devi studiare, tanto».
Si volta e alle sue spalle ecco pareti di boccette catalogate e poi, a sinistra, l’angolo più prezioso con le essenze delicate e rare conservate in un contenitore termico particolare. «Non c’è nulla da fare, se non riesci a realizzare la tua “biblioteca personale” poi non puoi lavorare, perché quando ti metti in testa quella nota quella deve essere. Devi avere la tua palette perché esinaso, stono più di 5 mila profumazioni e la tua “confort zone”, cioè quelle che conosci, è fatta di 400 ma la personale, cioè la biblioteca olfattiva che hai a disposizione, deve arrivare almeno a 100: se no non riesci ad esprimerti. Sono andato in giro per anni — continua — a cercare materie prime, pronte per essere certificate. Un po’ come con il vino. Piccole produzioni, particolarmente curate, che regalano qualità incredibile. Penso a una rosa che adoro e che ho trovato in Arabia o un particolare sandalo che ho scoperto in Nuova Caledonia». E lo zoom su Google Map si ferma lì: «Nessuno svela i propri segreti e dice esattamente dove si trovino queste coltivazioni o quel particolare raccolto, certo».
Mette le mani avanti, anzi il Perris: «Tante cose sono cambiate negli anni, però. Ed è stato necessario trasformare anche la ricerca stessa, molte materie per esempio sono diventate proibite e dunque si è reso necessario sostituirle con altre sintetiche, considerando che comunque diciamo l’arte profumiera moderna ha ad un certo punto scelto di servirsi della chimica per banalmente ottenere il risultato di conservare il più a lungo possibile, nell’aria e sulla pelle, il profumo. Ma oggi anche questi processi sono in discussione e si sta cercando di tornare all’antico. Quindi c’è una corsa a recuperare testi storici per studiare le formulazioni di un tempo».
Quale posto più incredibile di Santa Maria Novella: 800 anni di leggende profumiere e non solo. Una storia lastricata di racconti, A cominciare dalla prima acqua profumata di cui si abbia notizia, anno di grazia 1381, «Acqua di Rosa» contro gli odori della peste nera. Poi la famosa «Acqua della regina» o di «Santa Maria Novella», creata nel 1533 per la giovanissima Caterina de’ Medici che andava in sposa al re di Francia. La nobildonna portò con sé uno dei profumieri dell’Officina, Renato Bianco, René de Florentin e i due «regalarono» la conoscenza dell’arte profumiera ai francesi. Perché così andò.
«Un’esperienza unica ritrovarsi in quel mondo con quella storia e tradizione tramandata intatta nei secoli — dice Perris che proprio per introdurre al (nuovo) mondo de L’Iris ha suggerito a un centinaio di persone un’esperienza sensoriale a Firenze: gusto, vista, tatto e olfatto. Cibo, arte, artigianato e profumi: «Volevo solo il burro di Iris, che è tipico di Firenze, cresce sulle colline qui intorno. Tutti pensano al fiore, ma il fi ore ha solo un leggero odore e non si estrae certo dai petali. Ci vogliono i rizomi, cioè le radici, e per estrarre i risomi bisogna aspettare sei anni: tre di coltivazione e tre di maturazione. Con una resa bassissima».
La pazienza, l’altra amica di questo lavoro: «La pazienza è davvero l’ingrediente principale, ma il risultato finale è una poesia per l’olfatto: un odore elegante e puro e terroso che poco ricorda il mondo del fiore, ma è un grande omaggio a Firenze, alla bellezza che la circonda, ai campi, alle colline e al cielo di maggio».
Il «naso» Gian Luca Perris Volevo solo il burro di iris, che è tipico di Firenze, odore elegante, puro e terroso»