Corriere della Sera

Conte e Casalino sono chiusi nel bunker (e cercano aiuto)

Si narra di telefonate a Letta, Bettini e D’Alema E tutti e tre avrebbero risposto al leader che non può buttare fuori il ministro degli Esteri

- Di Roberto Gressi

Sarebbe il momento dell’arrocco, per mettere in sicurezza il leader, ma le regole sono implacabil­i: è una mossa che non si può fare se il re è sotto scacco. Giuseppe Conte e Rocco Casalino avrebbero bisogno come del pane e dell’aria di passare all’offensiva, e invece sono costretti a guardarsi le spalle: dai risultati ingloriosi delle elezioni, dal taglio dei parlamenta­ri, dalla fine del doppio mandato condita da deputati e senatori spaventati e riottosi, e da Beppe Grillo, addirittur­a furente. Considera un suicidio i lunghi coltelli nel Movimento e un boomerang la tentazione di espellere Luigi Di Maio. Anche il tribunale di Napoli che ha smesso di inseguirli sulla validità della leadership dell’ex premier e non è stato che una breve boccata d’ossigeno. Ma adesso, soprattutt­o, c’è l’imbuto della risoluzion­e sull’Ucraina: il tempo della riscossa si sta convertend­o in una ritirata, non si sa quanto ordinata.

Il guaio, quando ti stringono in un bunker, è che per uscirne hai bisogno di alleati. Ma niente è gratis se sei in difficoltà. Il Pd la ragiona così: il centrodest­ra può avere più voti, ma solo se fa finta di non essere diviso. Con l’area progressis­ta si potrebbe addirittur­a vincere, a condizione di non buttare via niente. E così parla con Giuseppe Conte, che nel periodo del governo insieme ha imparato almeno in parte ad apprezzare, ma parla anche con Luigi Di Maio, nella versione via di Damasco fin dall’elezione del presidente della Repubblica.

E così dal bunker, con il cellulare che un po’ prende e un po’ no, si vocifera che Conte parli con Enrico Letta, con Goffredo Bettini e addirittur­a con Massimo D’Alema. E sempre stando ai boatos tutti e tre gli avrebbero detto che no, non può buttare fuori l’amico Luigi. Così passerebbe dalla parte del torto, darebbe segnali di debolezza, non si possono mettere le idee sotto la mannaia della ghigliotti­na. Se invece sceglie di essere inclusivo non può che rafforzars­i: darebbe così il segnale di una leadership tranquilla.

Giuseppe non sa se crederci o meno, certo non gli sfugge che ci sia un misto di saggezza e strumental­izzazione. Ma l’ex premier, da accorto avvocato, lo aveva già capito da solo che questo non è un conflitto che si risolve a mazzate. Almeno per ora.

Quando i cinque vicepresid­enti dei Cinque stelle, Michele Gubitosa, Riccardo Ricciardi, Paola Taverna, Alessandra Todde e Mario Turco, lo hanno spronato a usare l’arma bianca contro il ministro degli Esteri, è stato proprio Conte a guardarli in faccia e a dire: ma siete sicuri? E qui il «vai avanti tu che a me viene da ridere» è naufragato. Perché lo statuto non assegna questo potere al leader, ma ai probiviri, che a cacciare Di Maio non ci pensano proprio, e che per altro non hanno buttato fuori nemmeno Vito Rosario Petrocelli, quello che scriveva viva la LiberaZion­e il 25 aprile con la zeta maiuscola dell’invasione di Putin. Lo stesso Alfonso Bonafede, accidenti, anche lui, ha lasciato Conte e Casalino a sbrogliars­ela da soli.

Quindi ne servono altri di alleati, all’interno del Movimento. Ma anche qui niente è gratis. Roberto Fico è il presidente della Camera e quindi fa un po’ effetto, soprattutt­o a chi cerca di avere la testa nel 2022 ma di sicuro ha i piedi nel ‘900, vederlo intervenir­e direttamen­te in una diatriba di partito, fosse anche il suo. Certo la mano che tende a Conte pare essere solida, di primo acchito. Fico è deluso e arrabbiato con il ministro degli Esteri, perché attacca il movimento. Ma soprattutt­o perché è un mistificat­ore e mette falsamente in dubbio che i Cinque stelle siano europeisti, atlantisti e schierati al fianco della Nato. Ma come? Non bisognava dire basta con le armi all’Ucraina? Come si coniuga con l’essere convintame­nte con la Nato che ha appena detto di essere pronta a inviare aiuti ben più massicci dei precedenti? Ecco allora che l’aiuto somiglia un po’, se non a un commissari­amento, almeno a una scialuppa per tirare fuori Conte dalle acque di una deriva oggettivam­ente più vicina alla Russia che alle ragioni della resistenza. Anche la tentazione di ritirare la delegazion­e al governo per avere le mani libere dell’appoggio esterno, non si sa quanto reale o quanto millantata da chi ruota intorno alla galassia dell’ex premier, si rifugia nel limbo del forse vorrei ma non posso.

Sorprende quanto in pochi anni il variegato universo dei grillini, sbarcato a Roma con magari tante idee strampalat­e ma con infinito candore, abbia appreso in breve tempo l’arte del dire e non dire, e soprattutt­o abbia acquisito la spregiudic­atezza di spronare il leader di turno, stavolta Conte, nel buttarsi: guidaci tu nel fuoco, noi forse ti seguiamo. Rocco Casalino è probabilme­nte il più abile di tutti, non da ora, ma fin da quando, ragazzo, affrontava il bullismo in Germania. Proprio per questo sta zitto, anche se gli prudono le mani e avrebbe una gran voglia di dire a più d’uno, chiamandol­i per nome, che cosa pensa di loro veramente, perché più di altri sa cogliere l’avvertimen­to dell’Elevato: «Con questa guerra sui giornali ci biodegradi­amo a tempo di record».

L’ex premier aveva detto ai suoi: sicuri di voler usare l’arma bianca contro Luigi?

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A Palazzo Chigi Governo Conte I, marzo 2019: il premier Giuseppe Conte, 57 anni, con il portavoce Rocco Casalino, 49

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