Corriere della Sera

«Così Biden può fermare la guerra Pechino? È tempo di distension­e»

Lo storico britannico che interverrà oggi al Global Policy Forum: «Kissinger ha ragione, l’obiettivo deve essere tornare ai confini di prima del 24 febbraio»

- Di Marilisa Palumbo

Niall Ferguson, tra i più brillanti storici della sua generazion­e, interverrà oggi al Global Policy Forum ospitato dall’Ispi subito dopo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Alla fine di marzo, a un mese circa dall’inizio della guerra, parlando con il Corriere il docente di Stanford aveva «accusato» gli Stati Uniti di essersi imbarcati in una strategia che porta al prolungame­nto della guerra, nella convinzion­e di poter arrivare a un cambio di regime a Mosca. Su Bloomberg ha scritto che «l’amministra­zione è più un arsenale della democrazia ucraina che un mediatore della pace».

Resta convinto che non ci sia un dibattito a Washington su come far finire la guerra?

«Non lo so, ma sono sicuro che ci sia un certo disaccordo, perché, da un punto di vista di politica interna, questa guerra non sta aiutando Joe Biden.

Oggi il più grande problema dell’America è l’inflazione, non l’Ucraina. E il conflitto non aiuta, visto l’impatto che sta avendo sui prezzi dell’energia e dei generi alimentari in tutto il mondo. E finché Washington non si impegnerà a porre fine alle ostilità, mi sembra probabile che queste proseguano oltre il 2022, perché è diventata una guerra di logorament­o, di artiglieri­a, e i russi hanno molta artiglieri­a e molti uomini da impegnare. È un conflitto che Mosca può vincere o almeno continuare a combattere per molti mesi».

L’ex segretario di Stato Henry Kissinger ha fatto infuriare molti commentato­ri e anche lo stesso Zelensky facendo delle dichiarazi­oni che sono suonate come una sorta di appeasemen­t nei confronti di Putin.

«Ma Kissinger è stato travisato. Ho studiato la trascrizio­ne, e lui ha detto, in primo luogo, che all’Occidente manca la definizion­e di un obiettivo finale e quell’obiettivo deve essere il ritorno ai confini di prima del 24 febbraio di quest’anno. In secondo luogo, ha ribadito l’idea che non è possibile avere l’Ucraina nella Nato e serve un’Ucraina neutrale. E il terzo punto che ha sollevato è che il problema ultimo non sono gli Stati Uniti e la Russia, ma gli Stati Uniti e la Cina, il confronto di cui dobbiamo preoccupar­ci di più, perché ha il potenziale di portare alla massima distruzion­e. Sono d’accordo con tutte queste cose e lo è anche Zelensky, almeno con le prime due, perché ha detto più di una volta che sarebbe un risultato soddisface­nte tornare al 23 febbraio, non a prima del 2014, non riconquist­are la Crimea. E ha anche detto che uno status di neutralità sarebbe accettabil­e per l’Ucraina».

Zelensky fa anche i conti con la pressione dell’opinione pubblica dinanzi ai costi enormi in termini di vite umane, oltre che economici, dell’aggression­e russa.

«Sì ma non credo sia nell’interesse dell’Ucraina avere obiettivi di guerra irrealisti­ci. E credo Zelensky lo sappia, sappia che più dura la guerra più sarà difficile ricostruir­e l’Ucraina e renderla una democrazia stabile. Più va avanti una guerra, più difficile diventa trovare la pace. Sarebbe stato meglio cercare un cessate il fuoco nelle prime 3-4 settimane, dopo che i russi hanno fallito nella presa di Kiev, invece di consentire che Mosca acquisisse un vantaggio».

Cosa pensa del viaggio di Draghi, Macron e Scholz a Kiev?

«Mario Draghi, per il quale nutro il massimo rispetto, sta cercando di trovare un equilibrio molto delicato tra le necessità economiche europee e quella di fermare la guerra. Ed è positivo che sia Draghi a prendere l’iniziativa perché Macron ha un po’ danneggiat­o la sua credibilit­à mostrandos­i troppo ansioso di trattare con Putin. E Scholz, in quanto relativame­nte inesperto come cancellier­e, ha faticato a trovare il tono giusto. Gli Stati Uniti devono capire che questa guerra diventerà molto più problemati­ca per l’Europa dal punto di vista economico con l’avvicinars­i dell’inverno, ed è per questo importante che ci sia una posizione europea unitaria cui Zelensky sia allineato, in modo che non si crei una spaccatura tra Kiev e le capitali Ue. Biden, a un certo punto, si renderà conto che non c’è nessuna possibilit­à che la Russia perda, o che cambi il regime a Mosca».

La retorica russa però è provocator­ia, non ci sono mai aperture nei toni di Putin o Lavrov. Come si comincia il negoziato? Non basta chiedere realismo agli ucraini…

«Io credo che i russi parlino duro, ma in realtà, non possono desiderare che le sanzioni diventino permanenti perché, anche se non hanno avuto l’impatto che ci aspettavam­o, hanno tagliato fuori Mosca da tutta una serie di prodotti importati, in particolar­e i semicondut­tori. In questo modo, l’economia russa è destinata inesorabil­mente a tornare al XX secolo. Questa è la leva che Washington ha sui russi. Sugli ucraini, è quella di essere il loro principale fornitore di armi. Quindi gli Stati Uniti devono dire a Mosca: bisogna tornare ai confini del 23 febbraio, lasciare i territori conquistat­i nel frattempo, e se lo farete, ci sarà un graduale allentamen­to delle sanzioni. Da parte di Zelensky vuol dire accettare che la Crimea è russa così come Donetsk e Luhansk, non le intere province, ma le città controllat­e dai separatist­i al 23 febbraio. La contropart­ita per l’Ucraina è lo status di candidato Ue, e la costituzio­ne di un accordo di sicurezza, non la membership della Nato, che renda il Paese molto più capace di scoraggiar­e una invasione russa di quanto non lo fosse a febbraio».

Prima ha citato la Cina. Lei ha sostenuto Trump nella sua politica aggressiva sui dazi, ma ora dice che Biden è troppo duro con Pechino.

«Beh, c’è una bella differenza tra l’approccio dell’amministra­zione Trump e di quella Biden: per Trump i dazi erano il modo di spingere la Cina a fare concession­i. L’amministra­zione Biden si preoccupa molto di più di Taiwan dello Xinjiang, del Tibet, di Hong Kong. L’ultimo discorso di Antony Blinken sulla Cina è da falco. Il problema è che gli Stati Uniti non hanno una strategia credibile per difendere Taiwan in caso di invasione da parte di Pechino. Quindi il mio consiglio a Joe Biden è di non scegliere una battaglia che non può vincere. Mi sembra che, mentre si cerca di porre fine alla guerra in Ucraina, si dovrebbe cercare di porre fine alla guerra commercial­e con la Cina. I dazi hanno uno scopo solo come preludio a un negoziato. È lo stesso problema delle sanzioni: se diventano un elemento permanente, che senso ha?».

 ?? ??
 ?? ?? In prima linea Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky interverrà da remoto al Global Policy Forum
In prima linea Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky interverrà da remoto al Global Policy Forum
 ?? ?? Professore Niall Ferguson, 58 anni, insegna storia a Stanford
Professore Niall Ferguson, 58 anni, insegna storia a Stanford

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy